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Brasile, un calcio alla miseria

Brasile, un calcio alla miseriaLa polizia spara sulla folla a Fortaleza – Reuters

Carovita Inflazione al 6% e salario medio di circa 300 euro al mese. Senza il boom della crescita il governo di Dilma non ce la fa a garantire servizi essenziali a tutti. E le agenzie di rating minacciano il "taglio"

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 giugno 2013

E’ indubbiamente simbolico il fatto che le attuali proteste popolari in Brasile, contro il carovita e gli inadeguati servizi pubblici, sanità e istruzione innanzi tutto, siano originate dalla condanna degli enormi sprechi che riguardano la passione nazionale di sempre, il calcio.

Difatti la Confederation Cup, prova generale del Campionato del mondo che sarà ospitato l’anno prossimo, ha visto esplodere i primi tumulti proprio nei pressi degli stadi di Brasilia e del Maracanà di Rio de Janeiro, dove sabato 15 giugno hanno esordito le squadre del Brasile e Giappone (nella Capitale) e quella italiana contro il Messico a Rio. I disordini si temono anche a Fortaleza e Recife, teatri del confronto a ruoli scambiati tra le stesse formazioni. A Recife, il costo del nuovo stadio ultimato di recente, ha raggiunto la non modica cifra di 542 milioni di reais, (circa 217 milioni di euro) solo per ospitare 3 partite quest’anno, e 5 il prossimo.

Capitale dello Stato di Pernambuco, era una città in pieno sviluppo fino a qualche anno fa, ma la sua stella sta rapidamente declinando, sia per gli enormi problemi legati al traffico urbano ed extraurbano, che per lo stato d’indigente povertà che affligge i due terzi dei suoi amministrati.

Per raggiungere il vicino porto industriale di Suape, (una trentina di chilometri dal centro) nelle ore di punta ce ne vogliono quasi tre ore per arrivare al posto di lavoro, e altrettante per tornare a casa.

Un calvario quotidiano che ha costretto molti a rinunciare a un impiego tra i più remunerati. In queste ultime ore il municipio di Recife, insieme a Joao Pessoa, capitale di Paraiba e Porto Alegre del Rio Grande do Sul, ha deciso una riduzione delle tariffe dei trasporti pubblici, uno dei motivi all’origine della protesta.

Quella del salario minimo è un’altra piaga che sta impoverendo il Brasile. A fronte di un’inflazione galoppante del 6% annuo, il lavoratore medio ha beneficiato solo l’anno scorso di un lieve ritocco, passando a 650 reais mensili, meno di 300 euro. Eppure basta visitare uno dei tanti centri commerciali, per accorgersi delle sproporzioni esistenti; i capi di vestiario e le scarpe, così come i generi alimentari, costano all’incirca come da noi, difatti dal 2008 al 2013 hanno subito aumenti che oscillano, secondo la tipologia, in media tra il 50% e il 100%. Il servizio sanitario pubblico è peggiorato qualitativamente, laddove anche l’ospedale modello per la cura del cancro a Salvador da Bahia, oggi espone i pazienti a lunghe file di attesa, che spesso sfociano in visite frettolose e medicine a pagamento integrale.

Le cliniche private invece abbondano, per quel 20-25% della cittadinanza, da cui negli ultimi anni è emersa una classe medio/alta, che ha prosperato a scapito degli altri.

I piani sanitari proposti dalle assicurazioni private, hanno delle tariffe mensili che spesso superano il salario minimo, per cui sono improponibili per i ceti bassi.

E non va meglio per l’istruzione, che vede il proliferare d’istituti privati, laboratori dove si formerà la classe dirigente del futuro, frequentati essenzialmente dai rampolli di quella attuale.

La Presidente della Repubblica Federale Brasiliana, Dilma Rousseff, colei che è subentrata al potere dopo la fine del mandato di Luiz Inàcio Lula da Silva, cerca di rimanere, almeno per ora, coerente al suo passato di giovane militante socialista, quando combatteva la dittatura militare, e ha dato disposizione alla polizia di mantenere un basso profilo, almeno fino a quando le proteste non degenerino.

Riconoscendo la legittimità delle stesse, a fronte di un quadro sociale così squilibrato.

La contrazione dei consumi che contraddistingue adesso la maggior parte dello “spending” pubblico, ha già provocato quest’anno il crollo del Prodotto Interno Lordo, che è passato dal picco dell’8% del 2010 al 2.5% attuale. Il flagello delle carte di debito, oggetto del desiderio, sollecitato dalla propaganda per la spesa facile, ha portato la popolazione a un tale stato d’indebitamento, che ora Standard&Poor minaccia il Brasile con il taglio del rating, se la crescita non dovesse riprendere.

Sebbene le proteste siano partite pacificamente, ora il quadro generale sta peggiorando, grazie anche alle sconsiderate dichiarazioni del Presidente della FIFA Blatter, secondo il quale la World Cup è più importante dei capricci di qualche dimostrante; a Rio e Brasilia sono state bruciate diverse auto, e la polizia è intervenuta, sparando gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Testimoni riferiscono anche di violenti pestaggi da parte della polizia militare. Il principale antagonista della Presidente, Senatore della Repubblica Aécio Neves, del Partito Social Democratico, non sembra raccogliere i consensi persi dal governo; difatti a Sao Paulo, che vede al Municipio un altro politico dell’Opposizione, i disordini continuano uguale, per cui la protesta si profila apartitica, diretta specificatamente contro il fallimento del regime liberista, che sta caratterizzando il Brasile post Lula, colpevole di aver tagliato il welfare sociale e migliorato le condizioni di vita solo di una minoranza. Anche Manaus si è unita alle città in tumulto, il numero dei dimostranti cresce di ora in ora, siamo a circa mezzo milione di persone in lungo e in largo nel Paese.

Ciò che abbiamo denunciato sul manifesto partendo l’anno scorso proprio dalla storia di Manaus, e continuando con le realtà di Salvador da Bahia e di Maceiò, si sta esacerbando ulteriormente, a riprova di una reazione a catena che minaccia da vicino anche l’Europa, dove i fatti greci, turchi e spagnoli, costituiscono solo la punta dell’iceberg.

 

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