Cultura

Brancusi, l’abbraccio della pietra

Brancusi, l’abbraccio della pietra«Sleeping Muse» di Constantin Brancusi, 1910

Scaffale Marcos&marcos ristampa «Riga», l'importante volume dedicato all'artista rumeno Constantin Brancusi

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 21 febbraio 2014

«La Colonna senza fine è alta 29 metri e 30 centimetri. Ognuno dei suoi quindici romboedri misura un metro e 80 e pesa 860 chili, e due metà di romboedro segnano le estremità. Eseguiti in una fonderia di Petrosani, i moduli in fusione sono stati infilati su un’asta di acciaio solidamente piantata nelle fondamenta, infilati ’come perle’, diceva Brancusi». Sgabelli-clessidre, la Porta del Bacio, Tavola del silenzio: Serge Fauchereau ha probabilmente scritto il testo più esaustivo riguardo a quella composizione di opere, tra scultura e architettura, che definisce l’insieme di Tîrgu-Jiu, cittadina rumena, non distante dal luogo dove Constantin Brancusi è nato, il 19 febbraio del 1876.

C’è chi ha visto in questa colonna, la più alta mai concepita fino alla prima metà del Novecento (viene costruita tra il 1937 e il 1938, e quando Fauchereau ne scrive, nel 1994, il suo colore giallo dorato è già quasi dissolto in uno strano beige) una variazione rispetto a forme canoniche presenti sul territorio rumeno; c’è anche chi vi ha rintracciato (versante «avanguardista») riminiscenze d’arte negra o modernista. Qualcun altro invece, forse più accorto, ha ritrovato in questa colonna l’amore di Brancusi per linee aviformi: una passione per il volo. Per Pontus Hultén questa colonna suggerisce infatti il battito d’ali di un uccello in ascesa verticale. Una specie di cronofotografia, ma a tre dimensioni. Non tentava forse Etienne-Jules Marey di cogliere il volo di un uccello, la cui traccia e inscrizione sarebbe rimasta su pellicola (o su lastra)? Oppure, come se questi quindici blocchi incastonati come un filo di perle fossero quindici fotogrammi accostati, infilati uno vicino all’altro.

Sarà per questo che Paul Sharits si è recato a Tîrgu-Jiu, nel 1984, per filmare l’insieme di sculture, e soprattutto la Colonna senza fine (Brancusi’s Sculpture Garden at Tîrgu Jiu)? Vi avrà forse colto una specie di forma «metrica»? Qualcosa colpisce colui che la osserva, proprio per la sua inafferrabilità. Per Brancusi: «L’arte fa nascere le idee, non le riproduce. Vuol dire che un’opera d’arte vera nasce intuitivamente senza una ragione conosciuta prima, perché l’arte è la ragione stessa e non si può spiegare a priori». Lo ricorda Fauchereau: «Dalla sua forma tra una forza incantatoria che impressiona il visitatore. Ma non è tutto. Secondo le variazioni del cielo, l’orientamento della luce, la distanza e l’angolo visuale, cambia colore e di forma. Nessun servizio fotografico potrebbe rendere questa mobilità». Presenza fisica (la colonna è troppo sottile per agevolare qualsiasi reminiscenza fallica) e incessante senso di instabilità luminosa.

Sarà per questo che Brancusi ha cominciato a filmare con una lussuosa cinepresa 35mm le sue opere (L’inizio del mondo, o Leda, Musa addormentata, Princess X) facendole roteare su se stesse, proprio per cercare di cogliervi l’instabilità, l’instabilità della luce? Paul Sharits dal canto suo, si accontenterà di cogliere la fisicità delle sculture raschiando il microfono della presa del suono sulla pietra. Suono grezzo, che sfonda la piattezza bidimensionale delle riprese e lavora in profondità, donando una terza dimensione alle immagini.

Questa divagazione serve a rendere conto di una felice riproposta, giunta da poco in libreria: si tratta della ristampa, aggiornata, del volume Riga (n. 19*) dedicato a Constantin Brancusi, curato minuziosamente da Elio Grazioli e Marco Belpoliti (marcos y marcos, 25 euro). Un volume esaustivo, in grado di cogliere l’opera di Brancusi attraverso diverse sfaccettature, tanto che l’insieme dei contributi lascia emergere appunto una sorta di variazione luminosa, prismatica. Oltre al testo citato, potrete trovarvi la trascrizione del famoso interrogatorio e contro interrogatorio sostenuto da Brancusi contro gli Stati Uniti, a proposito del suo Uccello nello spazio acquistato da Edward Steichen. Un testo mirabile: una lezione teorica in una Corte della Dogana. E poi l’attenzione filologica di Paola Mola a proposito della ricezione di Brancusi in Italia, Mircea Eliade e le mitologie di Brancusi, i ricordi di Henri-Pierre Roché, l’acuta riflessione di Michel Frizot riguardo al lavoro fotografico di Brancusi, una sorta di «scultura della superficie». E molto altro. Un poema di Mina Loy e poi di Jean Arp. E poi uno dei testi che hanno segnato un giro di boa nella lettura dell’opera di Brancusi, ci riferiamo al saggio di Rosalind E. Krauss, Brancusi e il mito della forma ideale. John Berger e la sua lettera da Parigi.

L’intervento più toccante resta quello di Benjamin Fondane, poeta rumeno, scrittore e cineasta, poco conosciuto in Italia. «Nulla prova, in effetti, che l’uccello, il gallo, il bambino di Brancusi siano delle opere d’arte; a prima vista sono soltanto vertebre, pezzi di roccia, spicchi di gesso, conchiglie vuote, frammenti disarticolati durante lo smontaggio del globo, pura creazione di oggetti quasi nuovi che la natura, si direbbe, avrebbe potuto anch’essa creare se avesse potuto spingere il suo sogno tanto in alto fino a questa purezza (…) La vita ha il diritto di sgorgare da una pietra?». Pare di sì.

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