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Boxtrolls: mmaginazione a passo uno

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Mostra di Venezia Lo Stop Motion vive nelle immaginifiche officine Laika

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 23 agosto 2014
Luca CeladaLOS ANGELES

 Il capannone nella periferia industriale di Portland ha esattamente l’aspetto ti immagineresti in un business park grigio e un pò tetro vicino la tangenziale di una delle città più piovose d’America. Ma dentro l’anonima ex-fabbrica di linoleum oggi si fabbricano immaginifiche creazioni animate.È questa la sede dei Laika studios, un officina di animazione meccanica, un laboratorio di creatività in cui centinaia di persone lavorano alla costruzione di fantastici mondi in miniatura che prendono vita davanti alle cineprese, o meglio alle macchine fotografiche dei registi. Sì, perchè il tipo di animazione prodotta alla Laika è lo stop motion, la tecnica di animazione con cui sin dagli albori del cinema, a inizio ‘900 sperimentarono cineasti come Méliès e Romeo Bossetti.  I grandi pionieri della tecnica in cui modellini tridimensionali vengono animati fotografandoli a “passo uno”, furono Willis O’Brien, creatore del  King Kong di Cooper e Shoedshack, e il suo allievo Ray Harryhausen padre di fantastiche creature di creta che hanno popolato innumerevoli film di fantascienza B e fanta-mitologia (Viaggio di Sinbad, Argonauti). Nell’era moderna lo stop-motion viene in gran parte accantonato, rimanendo in uso soprattutto in alcuni oggetti cult  (vedi lo psichedelico Baby Snakes animato in plastilina da Bruce Bickford su musica di Frank Zappa), certa avanguardia est-europea (in particolare il lavori del Ceco Jan Švankmajer) o i gemelli americani Brothers Quay. Anche dopo il revival dell’animation degli anni ’80 lo stop motion resta una tecnica di nicchia rispetto al boom del CGI digitale di Pixar e Dreamworks, ma torna però in auge grazie alle collaborazioni di Tim Burton col suo vecchio compagno di CalArts, Henry Selick. Assieme  girano Nightmare Before Christmas, a cui seguono James e la Pesca Gigante di Selick e poi Corpse Bride e Frankenweenie di Burton. In Inghilterra intanto Nick Park resuscita il passo uno coi suoi geniali corti Creature Comforts su Channel 4 da cui discendono Wallace & Gromit coi quali Park vincerà l’Oscar. La risposta americana ai suoi successi televisivi sono i PJ’s  prodotti da Eddie Murphy che a fine anni novanta portano sulla televisione americana una irriverente parodia di sitcom ambientata fra gli inquilini afroamericani, e assai politicamente scorretti, di una casa popolare. Quella serie è animata da Will Vinton un animatore dell’Oregon che a Portland fonda un piccolo studio per produrre shorts e varia pubblicità  in stop motion. Quando l’operazione si rivela economicamente fallimentare, la società viene rilevata da Phil Knight il miliardario locale, fondatore e patron della Nike, il colosso delle scarpe atletiche che proprio a Portland ha sede. Il figlio di Knight, Travis, lavora con Vinton sin dall’apprendistato all’epoca dei PJ’s e non sorprende che con l’acquisto da parte del padre, la sua assunzione presso gli studios diventi permanente, Non si tratta però di un giocattolo per un rampollo di buona famiglia, il giovane Knight per lo stop motion ha una passion vera, e anche del talento. Dopo i Pj’s lavora da animatore su numerosi spot pubblicitari e anche dopo essere diventato direttore degli studios, che nel frattempo sono stati ribattezzati Laika, non rinuncia al lavoro certosino sul set, a simulare minuti movimenti di pupazzi alti 30 cm., fotografarli e ripetere il tutto per settimane e mesi. Quando la Laika ingaggia Henry Selick per dirigere il geniale Coraline  Knight è lead animato,r animatore principale a capo di una squadra di una dozzina artigiani la cui meticolosa specilità rasenta il maniacale, e lo sarà ancora due anni fa per Paranorman. I due lungometraggi distribuiti dalla Focus incassano più di $100 milioni, ripropongono lo stop motion come legittima tecnica commerciale e la Laika come uno dei maggiori centri specializzati in questa tecnica fino a poco fa un pò desueta che sembrava destinata a rimanere una curiosa reliquia d’altri tempi. Anche per questo l’nterno di quella fabbrica è così affascinante, con la sua dozzina di set in miniature, ognuna simile ad un meticoloso diorama (o il miglior plastic per treni modello di sempre). Tutt’attorno, e nei laboratori di fabbricazione degli studios, lavorano qualche centinaio di “operai”, artisti ma anche meccanici di biciclette, ex orafi, orologiai e ingegneri – gli artigiani che la Laika recluta per l’attitudine meccanica e la scrupolosa attenzione al dettaglio e alla miniaturizzazione che sono i requisiti di questo campo. Sono quelli che per gli ultimi quattro anni hanno lavorato a The Boxtrolls l’ultimo lungometraggio ad uscire ora dalle officine di Portland per essere presentato fuori concorso al Lido domenica 31 agosto. Il film è adattato dall’omonimo romanzo di Alan Snow, la storia di un bambino cresciuto da mostriciattoli a forma di scatola nei labirintici sotterranei di Cheesebridge, che Anthony Stacchi, uno dei due registi (con Graham Annable), caratterizza come ispirata “un pò da Oliver Twist e un pò dai Monthy Python”. Quando siamo stati a visitare i Laika lo scorso inverno la produzione era nella frenetica dirittura d’arrivo e le riprese procedevano in contemporanea su diversi set in cui venivano girate sequenze animate che in seguito sarebbero state inserite nel film. Travis Knight ci aveva accolto con un sorriso stampato in faccia: “Benvenuti a Unit Black One”, aveva esclamato in mezzo ad un set in penombra salvo le luci di scena. Nell’androne dipinto di nero  era  stata costruita in rapporto 1:15 una fabbrica sinistra, “è il nascondiglio del nostro cattivo”, ci aveva spiegato Knight, sulla quarantina, fisico da atleta e l’espressione di uno che sta facendo ciò che più ama al mondo (anche se nel suo caso questo significa  una settimana di lavoro per completare una scena di 4 secondi).  Ma l’orgoglio della manualità “totale” è proprio del mondo stop motion, la sfida di realizzare una cosa impossibilmente complicata. La principale concessione alla tecnologia digitale alla Laika è la stanza delle stampanti 3D che sfornano facce dei personaggi, ognuna con un espressione lievemente diversa. Nella tecnica tradizionale le espressioni si modificano sulle facce modellabili dei pupazzi ma nella tecnica ibrida usata qui le facce dei personaggi principali vengono prestampate e montate di volta in volta sui pupazzi snodabili in sincronia con le singole sillabe dei dialoghi pre-registrati. Knight ci aveva dato una piccola lezione.

 

Come funziona? 

Prima di ogni scena riceviamo la lista dettagliata delle esposizioni necessarie. Ad ogni fotogramma da realizzare corrisponde il suono che il personaggi emette in quell’istante, così io so di montare la faccia che corrisponde a quella sillaba o quella parola. In questa scena utilizzerò circa 120-130 facce diverse. Allo stesso tempo è lievemente complicata perchè il pupazzo protagonista si trova all’interno di quella gabbia e per animarlo io devo di volta in volta aprirla e richiuderla dopo ogni singolo scatto facendo attenzione a non spostarla. Allo stesso tempo nell’inquadratura c’è anche un personaggio sullo sfondo e anche lui si deve muovere in sintonia.

Quanto durerà la scena completata?

Dodici secondi circa, ovvero 270 fotogrammi. Ci ho messo due giorni per animare iI personaggio sullo sfondo  e ce ne vorranno ora altri 2-3 per completare quelli in primo piano 

Lavora qui dentro da solo per una settimana non si sente solo a volte?

Al contrario, mi concentro meglio. In un certo senso ogni sequenza stop motion è una specie di performance al rallentatore, la lentezza è glaciale ma cominci in un posto e arrivi in un altro e ogni volta vieni influenzato da fattori ambientali; se ripeti una scena non sarà mai la stessa, in quel senso è più simile alla performance di un attore che non il lavoro di un animatore al computer. In stop motion il tuo lavoro lo vedi tale e quale sullo schermo, in un computer ci possono metter le mani mille altre persane, anche mesi dopo. Infatti noi assegniamo le scene in base alle personalità dei singoli animatori, ognuno ha una specialità propria. 

Ci sono aspetti più complicati di altri?

È tutto un pò complicato (ride): i liquidi, le stoffe, I capelli – niente è semplice ma l’idea è di riuscire a trascendere nella performance iI fatto che sono pupazzi di ferro e silicone e stoffa e con l’animazione farli diventare persone viventi. Per riuscirci deve funzionare tutto I capelli, I movimenti, il senso del “peso” dei personaggi quando camminano. E tutto questo con puopazzi alti 30 cm. che devi animare con le tue mani impossibilmente grosse e goffe. 

Usate effetti digitali?

Certo abbiamo un ottimo reparto di effettistica ma cerchiamo davvero di fare il massimo possibile qui sul set. In Paranorman per esempio c’è una scena in cui degli zombie escono dalle tombe di un cimitero con zolle di terra che volano dappertutto. Abbiamo pensato di aggiungerle dopo ma alla fine ho deciso di animarle a amano e devo dire che sono quasi uscito pazzo con tutti quegli elementi che dovevano volare appesi a dei fili e attaccati a spilli. Alla fine ci siamo riusciti, oggi  abbiamo sviluppato un sacco di macchinari e sistemi che agevolano il lavoro degli  gli animatori ma in defintiva si tratta sempre della stessa tecnica che usavano Harryhausen and Willis O’Brien ai loro tempi: fotogrammi fatti a mano.

Non diventa noioso a lungo andare?

Me lo chiedono sempre ma non è così, almeno per me. Intanto c’è un apsetto molto fisico in questo mestiere, c’è sempre qualcuno arrampicato su un set che sta fissando tutto contorto un aggeggio  in qualche strana posizione. Quindi può essere faticoso fisicamente oltre che mentalmente impegnativo. Richiede molta pazienza ma  non è mai noioso, trovo stimolante che ci sia sempre un problema da risolvere, una soluzione da trovare e comunque è affascinante estrarre una performance emozionante da un oggetto inanimato. Richiede concentrazione intensa per un lungo periodo, un pò come uno sport, o una partita di scacchi.  

Avete rapporti con altri studios di stop motion?

Sapete siamo una comunità ristretta, nel giro ci si conosce un pò tutti, fra noi c’è solidarietà più che concorrenza. Ad esempio sono un grande ammiratore della Aardman, sono stato laggiù a visitarli e trovo che siano dei grandi artisti, abbiamo gente che lavora da noi che prima lavorava con loro. Io ero loro fan prima ancora di entrare nel mestiere sono dei maestri nel loro campo e allo stesso tempo I loro film sono molto diversi esteticamente e tematicamente dai nostri.

 

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