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Boxing Sisters contro l’Isis

Reportage Nel campo profughi di Rwanga un progetto pugilistico di autodifesa per le vittime di violenza

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 9 marzo 2019

>Una piccola stanza di 45 mq piena di strumenti musicali e scatole stipate di libri, è tutto ciò che serve a 12 donne yazide per ripristinare la fiducia in se stesse. Con un saccone di sabbia ed un cumulo di guantoni da pugile, la stanza si trasforma in una palestra per un’ora al giorno.
Le «Boxing sisters» arrivano qui per imparare come difendersi a mani nude. L’associazione no profit «Lotus Flowes», composta prevalentemente da donne, ha lanciato questo progetto pugilistico per ragazze che hanno subito atroci violenze commesse dai miliziani di ISIS. L’obiettivo principale è migliorare la salute fisica e mentale delle partecipanti attraverso il pugilato e l’autodifesa.
IL CAMPO PROFUGHI
Per quanto semplice, il programma è stato ben accolto dagli abitanti di Rwanga, un campo profughi nella regione del Kurdistan Iracheno che ospita 15000 sfollati iracheni – IDP, Internal Displaced People – ed alcuni siriani.
In questo campo, ogni singola donna è ossessionata da ricordi traumatici di terribili violenze subite e dalla perdita o scomparsa di qualche persona cara. Col passare del tempo, un numero crescente di donne cerca di lasciarsi alle spalle incubi raccapriccianti, trovando modi differenti di esprimere le proprie forze liberamente. La diciassettenne Husna ed altre sue amiche hanno scelto la boxe. Il fatto che lo sport, secondo molte pugili, sia ancora dominato dagli uomini, non impedisce alle ragazze yazide di apprendere le sue straordinarie capacità di potenziamento personali e, cosa più importante, di godere della reciproca compagnia in una squadra solidale. Oltre ciò, come donne e ragazze yazide, esposte all’orrore delle violenze sessuali, Husna e le sue compagne di squadra conoscono molto bene i vantaggi vitali delle tecniche di autodifesa. Vian, il direttore regionale di «Lotus Flowers», ritiene che il programma pilota abbia incoraggiato altre 35-40 donne a iscriversi ai corsi che prenderanno inizio successivamente.
Al momento le giovani pugili yazide possono allenarsi solo con un istruttore di kickboxing maschile che viene da Dohuk, la città più vicina. Tuttavia, le Boxing Sisters ricevono occasionalmente visite di campionesse internazionali del mondo pugilistico. Lo scorso settembre Rosana Burgos, allenatrice canadese di Boxe, ha impartito un seminario di due giorni nel campo. «Le ragazze hanno avuto sin da subito un certo feeling con Rosana, poiché l’allenatrice ha condiviso con esse la sua esperienza personale, raccontando degli abusi ed i maltrattamenti ricevuti dagli uomini durante l’arco della sua vita.» Spiega Vian.
CAMPIONESSE
La prossima visitatrice sarà Cathy Brown, una pugile professionista britannica, oggi in pensione, che ha recentemente acquisito un certificato come terapista cognitivo-comportamentale. Attraverso un workshop intensivo, formerà alcune ragazze selezionate all’interno del gruppo delle «Boxing sisters» che trasmetteranno poi le competenze ad altre donne all’interno della comunità. Il talento e l’impegno di Husna nel gruppo, l’hanno resa una delle prime possibili candidate. Come fanatica dello sport afferma con esaltazione: «Questa è una grande opportunità per fare qualcosa che mi piace ed allo stesso tempo aiutare gli altri», poi incalza, «un’occasione per sentirmi potente e far provare la stessa sensazione alle altre ragazze.»
Tuttavia, non è la prima volta che Husna si sente così forte: «Ho sempre saputo come affrontare le sfide imposte dalla vita», racconta. «Mio padre era nell’esercito. È morto pochi mesi prima che io nascessi. Mia madre lo ha seguito poco dopo, prima che io potessi averne anche solo una minimo ricordo. Ecco perché niente può scoraggiarmi.»
HUSNA DI SINJAR
Husna, vive oggi nel campo con un’amorevole famiglia che descrive come «la sua più grande fonte di forza ma anche il suo unico punto debole». Sua sorella, la nonna, lo zio ed alcuni altri parenti trovarono rifugio nel campo di Rwanga ad Agosto del 2014, quando lasciarono tutto alle spalle per salvare le loro vite dalla brutalità dell’ISIS. La vita da allora «sembra essersi fermata in un limbo interminabile», come rivela la zia di Husna. Anche se la loro terra, Sinjar, è già stata spazzata via dalla presenza dell’ISIS, solo poche famiglie hanno deciso di tornarci.
Come la maggior parte dei residenti di Rwanga, i parenti di Husna hanno idee contrastanti rispetto al proprio futuro. Sua nonna non vuole vivere da nessuna parte se non nel suo villaggio, patria dei suoi antenati; mentre i membri più giovani la pensano in modo differente. «Le case sono distrutte, le fattorie sono state bruciate e le nostre mandrie sono state rubate», racconta lo zio trentenne di Husna. «Non di meno importanza c’è il fatto che non ci sentiamo più al sicuro a Sinjar», conclude.
Durante l’invasione di Sinjar da parte dell’ISIS, la sua popolazione prevalentemente yazida è stata vittima di orribili crimini tra cui l’uccisione di migliaia di civili e le ripetute violenze sessuali. Per gli yazidi non è la prima volta che ciò accade. Situata in un crocevia strategico tra la Siria, la Turchia e l’Iraq, Sinjar è stata ripetutamente dominata da diversi eserciti nel corso della storia. La peculiare fede degli Yazidi, che combina elementi delle religioni abramitiche (Islam, Cristianesimo, Ebraismo, n.d.a.) con antiche religioni come lo zoroastrismo e il mitraismo, è stata usata come scusa per demonizzarli e trasformarli in obiettivi da colpire. Le tre generazioni presenti nella famiglia Husna condividono tutte l’esperienza di aver sempre vissuto sotto la costante minaccia di scomparire.
LE DIVERSE COMUNITÀ
«Alcuni dei nostri vicini musulmani, hanno accolto positivamente l’arrivo dei miliziani jihadisti fornendoli informazioni sulla nostra famiglia. Se non fosse stato per l’aiuto dei locali, come avrebbe fatto l’ISIS a raggiungerci?» Questo è quello che chiede la famiglia di Husna, insieme a molti altri yazidi; ciò fa credere a Vian che «uno dei danni maggiori causati dall’invasione dello Stato Islamico sia stato la distruzione della coesione sociale dell’intera regione». Nonostante pensi che le preoccupazioni degli yazidi siano più che valide, ricorda anche come molte famiglie musulmane hanno sofferto allo stesso modo l’attacco alla regione; quest’ultime si rifiutano adesso di tornare indietro per paura di possibili ritorsioni, a causa dei sentimenti prevalentemente ostili nei loro confronti.
«Ricostruire le strade e gli edifici distrutti è la parte più facile, la vera sfida nell’Iraq del dopoguerra è il ripristino dei legami tra le diverse comunità». Husna, sembra essere infastidita da questa conversazione. Le cose per lei appaiono molto più semplici: «Amo la vita e non odio nessuno. Posso fidarmi ed essere amica di chiunque, purché sia disposto ad aiutare gli altri, indipendentemente dalla loro fede, razza o genere».
ISTRUZIONE
Per lei, il futuro conta più del passato. «Voglio uscire da qua, vedere il mondo ed imparare il più possibile in modo da poter trarre benefici per le persone a me più care». Secondo Husna, il problema principale del campo è l’insufficienza di ore dedicate alla scuola. «Quando vivevo a Sinjar avevo buoni voti e sono tuttora una delle migliori studentesse di matematica del campo. I nostri voti si sono comunque abbassati perché purtroppo non abbiamo un’istruzione adeguata.»
Husna non è l’unica donna con una profonda passione per l’educazione. La classe di alfabetizzazione organizzata da Lotus Flowers è composta da molte donne giovani e di mezz’età che non hanno avuto l’opportunità di andare a scuola prima. Inoltre le donne condividono le loro conoscenze e abilità l’una coll’altra, espandendole in tutto il campo. Una superstite dell’ISIS, tiene dei corsi di cucito, un’ altra, che è stata tenuto prigioniera da ISIS per più di un anno, ha imparato a fare un caffè eccellente in Siria. Ora sta progettando di aprire nel campo una caffetteria per sole donne.
Vian ha notato altri nuovi atteggiamenti all’interno del campo. Come spiega, «riportare la violenza domestica sta diventando più comune mentre è sempre stato un grande tabù». Inoltre, «grazie alle norme sociali positive che hanno prevalso nel campo ed al monitoraggio costante dei volontari, oggi situazioni come quella del non voler mandare i figli (soprattutto le figlie) a scuola sono rare da trovare.»
Le storie del campo di Rwanga non possono comunque mascherare la difficile realtà di trascorrere 5 anni consecutivi in un campo, né cancellare dilanianti angosce del dopoguerra che colpiscono le donne Yezide più di ogni altro sopravvissuto alla violenze dell’ISIS. Tuttavia, sostengono l’efficacia delle soluzioni collettive ai problemi comunitari. Le Boxing Sisters sono disilluse e ben consce dell’impossibilità di poter abbattere con dei guantoni la selvaggia armata dell’ISIS. La loro condizione di vita fa anche sì che vi sia una netta differenza tra loro e le pugili professioniste. Vian comunque pensa di creare una sorellanza che cancelli le paure ed insegni a collaborare per potersi sostenere a vicenda. Come spesso ricorda «questo è un risultato da raggiungere che non ha margini di paragone rispetto a quello delle atlete di livello mondiale».

Sito Internet ONG : www.thelotusflower.org
Crowfunding per “Boxing Sisters Project”: https://mydonate.bt.com/events/bs/476606

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