Piero Bottoni, “Wingback lounge chair”, 1936, collezione privata

Se si volesse aggiungere un capitolo alle storie fin ora divulgate sul design italiano, questo riguarderebbe, prima di altri, Piero Bottoni (1903-’73). Diverse sono le ragioni per spiegare l’occultamento della sua attività di designer, parte integrante, tra il 1927 e il 1945, di quella di architetto. Probabilmente ha avuto origine in quel «nuovo eclettismo» che sotto varie forme Giancarlo De Carlo vedeva spargere i propri «effluvi funerari» sull’architettura della città ancora alla metà degli anni novanta. È possibile che quel ritorno di «simpatia per i linguaggi neoclassici», che nel Politecnico milanese trovarono facile ascolto, fosse in contrasto con il «modernistico» rappresentato da Bottoni. È questa una tesi che dopo la lettura del saggio di Giancarlo Consonni Il design prima del design (La vita felice, pp.178, € 20,00) trova qualche elemento in più per essere presa in considerazione.

Non c’è quindi da stupirsi se il design di Bottoni sia uscito dal campo degli studi storici, mentre ha continuato ad attrarre i musei (Wolfsonian Art Museum di Miami, Galleria d’arte Wolfsoniana di Genova, Triennale di Milano) e il mercato collezionistico internazionale. A un gruppo di studiosi meno allineati alle tendenze mainstream (Graziella Tonon, Lodovico Meneghetti, oltre allo stesso Consonni), si deve tuttavia l’accurata indagine dell’Archivio Piero Bottoni, collocato dal 1983 presso il Politecnico di Milano. Lo testimoniano i tredici «Quaderni» che compongono la collana dell’Archivio, comprendente anche il saggio qui recensito. Senza il lungo scavo storiografico compiuto, oggi, dell’intera attività dell’architetto milanese, si vedrebbe solo un’esile traccia, confusa tra nuovi canoni e revisionismi vari.

Ciò detto, è necessario aggiungere che per Consonni la storia del disegno industriale, al di là delle «firme prestigiose» e dei «marchi vincenti», come oggi soprattutto lo si intende, è innanzitutto «storia collettiva: di mondi culturali e produttivi, di capacità inventive, di imprenditori (e investitori) e, anche, di strati sociali che per la prima volta si sono affacciati sull’orizzonte del benessere economico».

Piero Bottoni
Piero Bottoni

È da questa considerazione, apparentemente sociologica, che si spiega l’avere posto al centro del lavoro di Bottoni-designer non l’elenco degli oggetti d’arredo, degli allestimenti o delle architetture d’interni, con la descrizione delle qualità funzionali ed estetiche, ma la costituzione di imprese economiche con le loro vicissitudini.

S’inizia nel 1936 con la Società K.N.: singolare riferimento nella denominazione al libro di Carlo Belli uscito per le Edizioni del Milione l’anno prima. La Società aveva l’ambizioso obiettivo di affermare «una linea stilistica capace di fare tendenza», organizzando una filiera che dall’ideazione all’esecuzione giungesse alla vendita diretta al pubblico.

Quando Bottoni pensò alla sua impresa, la cui vetrina era prevista presso la Galleria Il Milione dei fratelli Ghiringhelli, che già ospitava la redazione di «Quadrante» (la rivista fondata nel 1933 da Pietro Maria Bardi e Massimo Bontempelli), egli aveva al suo attivo una serie importante di progetti: nel 1930, gli arredi della cucina nella Casa Elettrica di Luigi Figini e Gino Pollini, presentati alla IV Esposizione internazionale d’arte decorativa e industriale moderna di Monza; nel 1933, i mobili standardizzati in «Gruppo di elementi di case popolari», con Enrico Griffini, alla V Triennale di Milano; nel 1936, alla VI Triennale, l’allestimento di un ufficio per piccole aziende e di uno studio medico.

Non erano, però, ancora maturi i tempi per il «mobile razionale» tipizzato dall’industria, e di questo Bottoni era consapevole. Troppo resistente era ancora la mentalità dello «stile» per ogni ambiente della casa, diffusa anche tra i ceti popolari; in quelli borghesi, poi, si preferivano, come scrisse, «le case in candoglia o i timpani e gli obelischi della “domus nova”».

Nonostante queste condizioni, e fallito il tentativo della Società K.N., Bottoni non smise di ragionare sulla costituzione di un’azienda che dal progetto alla vendita imponesse una diversa maniera d’intendere lo spazio dell’abitare. Anch’essa, magari come la prima, partecipata dagli architetti «quadrantini»: Terragni, Lingeri, i BBPR (Belgioioso, Banfi, Peressutti e Rogers), Figini, Pollini, Griffini, Lingeri. Immaginò di riunirli tutti mosso dalla volontà di non dissipare l’esperienza culturale della rivista, chiusa nel 1936. Era stato «un centro di ritrovo – come disse Bardi – per un’intelligenza spregiudicata, avanzata, originale», che il progetto bottoniano intendeva preservare.

Nel 1941 l’aspirazione ad avviare una produzione in serie di arredamenti rivolta a tutti, dal disegno semplice ed esatto, riapparve con la Società Anonima Ar-Ar. I promotori, oltre Bottoni, erano tredici architetti: Albini, BBPR, Gardella, Minoletti, Mucchi, Pagano, Palanti, Pucci, Romano, Macchi. Anche questa impresa durò poco, circa un anno, ma di là delle difficoltà del periodo bellico, per Consonni furono due i fattori che nella sua breve vita ne impedirono il successo: da un lato, l’assenza di stabilimenti industriali in grado di standardizzare il prodotto; dall’altro, l’acerba condizione del «sistema design» che ancora non distingueva tra prodotti singoli e sistemi coordinati di arredamento. Una separazione che sarà superata solo nel dopoguerra con la conversione di aziende da artigianali in industriali.

Nel 1944 i milanesi, smarriti nella loro città gravemente distrutta dai bombardamenti alleati, già meditavano la ricostruzione. Dalle macerie degli edifici demoliti Bottoni farà nel 1947 la «montagnetta» artificiale nel suo «quartiere sperimentale» QT8, ma all’indomani della Liberazione, colto l’imminente cambio politico, una società controllata dalla Rinascente, l’A.P.E. Società per lo sviluppo e l’esportazione delle produzioni artigiane, lo contatterà, e attraverso di lui i progettisti antifascisti del Gruppo Architetti Riuniti (Albini, appunto Bottoni, Gardella, Mucchi, Pucci, BBPR), affinché fornissero «progetti inediti» di mobili e arredi. Due tavoli e un letto furono i soli prodotti realizzati dall’elenco dei circa ottanta mobili singoli consegnati. Un magro risultato con il quale termina il periodo bottoniano dedicato con più energie al disegno del prodotto industriale.

Consonni correda con un ricco apparato d’immagini il lungo elenco dei prodotti ideati dall’architetto milanese, elenco che colpisce per la vastità dei settori merceologici ai quali si rivolse: dalla nautica all’illuminotecnica, dalle calzature (antesignana la sua scarpa ammortizzata) alla carrozzeria di camion per cinema ambulanti, dalla radiofonia (CGE) al tessile.

Anche nel dopoguerra Bottoni non smise di occuparsi di design, come documenta la serie dei tavoli ellittici in polimex (Zanotta) realizzati sul modello di quello in cemento e graniglia di villa Muggia (1936-’37) che sopravvive a Imola, all’interno della dimora ancora in rovina dai tempi della guerra.

La fase bottoniana del «design prima del design» fu senza dubbio una stagione ricca di sperimentalismi e di fermenti creativi alimentati in un sodalizio con il quale s’intese «uscire da ogni postulato di speciale decoro di casta – come colse con acume Elio Vittorini – perché si potessero creare delle forme che aderissero alle funzioni quotidiane della vita». Le sole che contano per la «gioia dell’abitare».