Bosetti, il gioco delle voci
Alessandro Bosetti, FasFari
Alias

Bosetti, il gioco delle voci

Ostinato Due titoli attirano l’attenzione, gli altri nove non sono meno interessanti ma in Facies e Fatus si è indotti a pensare o rimuginare o sentire temerariamente che dal tempo di […]
Pubblicato 4 mesi faEdizione del 18 maggio 2024

Due titoli attirano l’attenzione, gli altri nove non sono meno interessanti ma in Facies e Fatus si è indotti a pensare o rimuginare o sentire temerariamente che dal tempo di Gesang der Jünglinge firmato Karlheinz Stockhausen non si era più sentito qualcosa del genere. Qualcosa che giocasse con la voce (le voci) con altrettanta singolarità.

Naturalmente siamo nel regno delle iperboli, dato che le esperienze – diciamo a caso – dei vari Robert Ashley, Demetrio Stratos, Meredith Monk non sono trascurabili nel campo della vocalità contemporanea extra-pop, sempre insidiata dall’accademismo e dalla tradizione operistica.

Questa cosa la fa Alessandro Bosetti in un album (FasFari, Xong Collection) dove il suo produrre musica con le voci arriva a ulteriori livelli di fascino, di acume compositivo, di sapiente azzardo. In Facies e Fatus c’è cultura free, diventa esplicito un certo fortissimo lirismo antilirico, il fantasma di un Roscoe Mitchell balugina tra i suoni (ricordiamo che Bosetti è stato in passato all’altosax uno degli improvvisatori più originali nel panorama internazionale).

Si procede per suoni lunghi di parlanti di cui vengono catturati solo frammenti, come avviene in tutto l’album e in molte opere bosettiane. Ma alcune emissioni sono prolungate e sono intercalate da lampi/tocchi/uscite/ interiezioni di altri parlanti melodizzanti in un’atmosfera onirica.

Le voci sono nell’agire artistico di Bosetti quelle di comuni parlanti, persone anonime con cui si è intrattenuto con spirito di ricerca (da antropologo dei suoni, si direbbe) stabilendo relazioni personali prima che documentarie e poi musicali. In passato Bosetti è andato a cercare interlocutori che verbalizzavano in modo specialissimo, come persone reduci da interventi chirurgici alla laringe, per provare a ottenere itinerari sonori a loro volta specialissimi.

Lui lavora così (e come stona il termine «lavorare», maledetto da sempre, orrendo in un contesto come questo). Raccoglie suoni di parlanti, li «tratta» o accompagna con l’elettronica a volte più a volte meno, ne confeziona inquieti collage. Sminuzza le parole, anzi nella sua musica e particolarmente in quest’ultima raccolta si può intravedere una «polemica» con la parola e ancor più col testo. In omaggio alla vocale, al dittongo, insomma al suono della verbalizzazione senza che diventi verbo, magari con la maiuscola.

Bosetti per FasFari afferma di aver elaborato pochissimo i frammenti di voci parlanti raccolte. Tecnicamente può essere vero, musicalmente è il contrario. La tentazione di far «vera» musica (quella elettronica, per esempio nel brano Fãs) è forte, e Bosetti, splendidamente, la accoglie.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento