Lunedì mattina Reagan Arthur e Lisa Lucas, rispettivamente a capo delle case editrici Knopf e Pantheon, due sigle di punta del gruppo Penguin Random House (uno dei Big Five statunitensi, ma di proprietà della tedesca Bertelsmann), hanno scoperto di essere state licenziate. La notizia è stata accolta con comprensibile fastidio dalle dirette interessate («a saperlo, non avrei passato il fine settimana a lavorare», ha extwittato Lucas, prima responsabile nera negli ottant’anni di storia di Pantheon) e con preoccupazione da chi lavora nella filiera del libro, anche fuori dagli Usa.
Non è certo un buon segnale per la salute del settore l’espulsione repentina e simultanea di due alte dirigenti, come ha confermato una fonte anonima a Alexandra Alter e Elizabeth A. Harris del New York Times: «Queste ‘dismissioni’ rientrano in una serie di misure per il contenimento dei costi». Misure, lasciano intuire Alter e Harris, difficilmente aggirabili «in un momento in cui Penguin Random House e altre grandi case editrici si trovano ad affrontare difficoltà finanziarie, con l’aumento dei costi nella catena di rifornimento e il calo delle vendite di libri cartacei». E non è probabilmente un caso che sia Arthur sia Lucas fossero state assunte di recente, nel 2020, con quelli che sempre sul New York Times vengono definiti «ingaggi sensazionali» (splashy hires).

Per capire se abbiamo a che fare con una ricalibratura temporanea o se l’editoria nel suo complesso sarà costretta a muoversi in un panorama sempre più inclemente per la carta stampata, bisognerà aspettare. Ma intanto fa piacere constatare che nel mondo del libro c’è chi non piange, e buone notizie – almeno sul piano economico – arrivano da un territorio che in tanti guardano dall’alto in basso, quello dei book club o gruppi di lettura (che non sono esattamente la stessa cosa, ma qui per comodità si farà finta di sì).
Intorno a questi circoli, oggi numerosi anche in Italia, aleggia uno stereotipo nel quale, come in tutti gli stereotipi, non manca qualche elemento di realtà. Anche se in effetti esistono, non da oggi, gruppi di ogni forma e composizione (e di certo fra le lettrici e i lettori del manifesto c’è chi in gioventù ha condiviso con gli amici un percorso attraverso le migliaia di pagine del Capitale o dei Quaderni di Gramsci), l’immagine prevalente è quella di un gruppo di donne mature, finalmente più libere dalle pressioni del lavoro e della famiglia, che scoprono o riscoprono il piacere di stare insieme parlando di un libro che si è letto (non sempre per intero) e si è amato (o odiato, poco importa). Formula semplicissima, intorno alla quale gira una quantità notevole di soldi – probabilmente anche in Italia, sicuramente negli Stati Uniti, dove il book club attualmente più potente, quello fondato nel 2017 dall’attrice e produttrice Reese Witherspoon, ha totalizzato nel 2023 la vendita di due milioni e 300mila copie, superando così il più longevo circolo della collega Oprah Winfrey.

Intervistata da Elisabeth Egan per il New York Times, Witherspoon spiega che l’obiettivo del suo Reese’s Book Club è «portare il circolo di lettura fuori dal salotto della nonna, traghettandolo online» e che «cerca innanzitutto libri di donne, con donne al centro dell’azione, che si salvano da sole» («perché è questo che fanno le donne, e nessuno verrà a salvarci»). Una scelta che, a giudicare dai numeri, ha saputo intercettare i gusti delle lettrici americane (e che, per inciso, ha contribuito ad alimentare l’attività della sua casa di produzione). Sarebbe lo stesso da noi, se un’attrice italiana decidesse di seguire il suo esempio?