Su The Atlantic Thomas Chatterton Williams si rammarica per quello che potremmo definire il no-book pride, movimento – a quanto ci risulta – ancora inesistente, ma in cui già militano in tanti, dal rapper Ye (ex Kanye West: «Sono un orgoglioso non-lettore»), al fallimentare criptovalutista Sam Bankman-Fried («Non voglio dire che nessun libro valga la pena di essere letto, ma in realtà credo che le cose stiano più o meno così») al suo sodale Sean McElwee («I libri sono stupidi: ti dicono solo quello che la gente vuole che tu sappia»). Discendenti, per Williams, dei giovani liberi pensatori di cui scrive Tolstoj in Anna Karenina, i quali, desiderando istruirsi, disdegnavano «i classici e i teologi e i drammaturghi e gli storici e i filosofi e, insomma, tutto il lavoro intellettuale che poteva capitar loro a tiro», preferendo attingere il loro sapere dalle riviste. Bei tempi, viene da pensare oggi, quando le fonti del sapere sono video di una manciata di secondi.

Per fortuna in altre parti del mondo c’è chi pensa che leggere libri abbia ancora un senso, anche se gli autori hanno più di trent’anni e magari sono morti. Ed eccoci a Nairobi, in Kenya, dove dal 2017 opera un’organizzazione no-profit, Book Bunk, che si è data l’obiettivo di «restaurare alcune delle biblioteche pubbliche più iconiche della città e trasformarle in siti di conservazione del patrimonio, arte pubblica, memoria collettiva, produzione di conoscenza, esperienze condivise, leadership culturale e scambio di informazioni». Ideatrici e curatrici di Book Bunk – spiega sul New York Times Abdi Latif Dahir – sono Wanjiru Koinange, romanziera e saggista, e Angela Wachuka che in precedenza, nel suo ruolo di direttrice esecutiva del Kwani Trust, ha pubblicato opere di autori africani affermati e emergenti.

Convinte – come sottolinea la stessa Wachuka nella sua pagina su Linkedin – che le biblioteche pubbliche «non sono semplici depositi di libri», le due socie hanno trovato l’appoggio dell’amministrazione civica di Nairobi per riportare in vita la più antica biblioteca della capitale kenyota, la storica McMillan Memorial Library inaugurata nel 1931 (per un pubblico di soli lettori bianchi!) e due sue succursali, la Kaloleni Library e la Eastlands Library a Makadara. Un’impresa tutt’altro che semplice: quando Koinange e Wachuka sono entrate nel bell’edificio neoclassico della McMillan Memorial Library, si sono trovate di fronte a uno spettacolo desolante, «pavimenti e pareti in condizioni rovinose e cumuli di polvere sulle collezioni», scrive Dahir.

Attualmente i lavori sono ancora in corso (sono necessari sei milioni di dollari per riparare l’edificio e garantirne la funzionalità per i primi due anni), ma nel frattempo, nonostante le restrizioni della pandemia, le due biblioteche minori sono state ristrutturate e offrono una quantità di servizi. E se la sede di Makadara ospita sessioni di narrazione, proiezioni di film, spettacoli musicali e addirittura un festival letterario, vale la pena di spendere qualche parola in più sulla Kaloleni Library, destinata soprattutto ai bambini: come tutto il quartiere (Kaloleni, appunto, una piccola città-giardino composta di circa cinquecento abitazioni) l’edificio è stato costruito negli anni Quaranta da prigionieri di guerra italiani, e insieme all’adiacente Kaloleni Social Hall ha poi ospitato raduni cui hanno partecipato i leader dell’indipendenza kenyota, da Jomo Kenyatta a Tom Mboya. Un passato rievocato nel bellissimo video realizzato da Book Bunk sulla comunità che circonda la biblioteca e che è la vera protagonista della ristrutturazione. Da far vedere a Ye e a Bankman-Fried: chissà, forse potrebbero ricredersi sull’utilità dei libri.