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Bonito Oliva, performatività dell’Archivio

Bonito Oliva, performatività dell’ArchivioAchille Bonito Oliva, Roma, Mura Aureliane, 1982, foto Elisabetta Catalano

Al Castello di Rivoli, "A.B.O. THEATRON. L’Arte o la Vita", ideazione Achille Bonito Oliva e Carolyn Christov-Bakargiev, cura Andrea Viliani A.B.O., da «Amore mio» a «Vitalità del negativo», da «L’ideologia del traditore» a «Punti cardinali»: mostre e libri in un allestimento circolare. Il bilancio critico si infrange nella volontà di tenere 'aperto' il discorso...

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 5 dicembre 2021
Maria Teresa RobertoRIVOLI (TORINO)
La mostra “Amore mio”, organizzata da Achille Bonito Oliva a Palazzo Ricci, Montepulciano, nel 1970, foto Fabio Donato

 

La mostra che il Castello di Rivoli dedica (fino al prossimo 30 gennaio) ad Achille Bonito Oliva si offre come una duplice messa in scena, come rivisitazione di un percorso critico e insieme costruzione di un racconto (auto)biografico. Lo dichiara il suo titolo – A.B.O. THEATRON. L’Arte o la Vita –, un progetto alla cui ideazione Achille Bonito Oliva e la direttrice del museo Carolyn Christov-Bakargiev hanno lavorato insieme, mentre Andrea Viliani ne ha curato lo sviluppo in mostra e in catalogo.
L’occasione è stata fornita nel 2019 dalla scelta di Bonito Oliva di donare il proprio archivio al Centro di Ricerca di Rivoli al compiersi del suo ottantesimo compleanno. Ma la sua attitudine critica si è sempre mossa in controtendenza rispetto alle pratiche connesse alla formazione di un archivio – registrare, catalogare, ordinare. La mostra nasce dunque dalla contraddizione tra la ricchezza di informazioni che la scoperta e lo studio di fonti finora inedite hanno potuto garantire e l’irriducibile volontà di mantenere in primo piano la dimensione soggettiva e autoriale che ha presieduto non solo a tutti i progetti espositivi ed editoriali di Bonito Oliva, ma anche alla selezione dei documenti che egli ha scelto di conservare nel corso dei decenni.
THEATRON riflette e amplifica questa antinomia, articolandosi nella ricostruzione, attraverso opere e documenti, di un gruppo significativo delle mostre da lui curate e testimoniando in parallelo il definirsi e il rafforzarsi della sua immagine pubblica, lungo due percorsi dalla cronologia non lineare, che in alcuni punti si incontrano e in altri procedono autonomamente. La planimetria del Castello, con i suoi spazi tutti diversi per forma, dimensioni, apparati decorativi, ha permesso di riattivare il dispositivo dell’allestimento per nuclei autonomi che egli ha utilizzato fin dagli anni settanta, in particolare quando si è trattato di intervenire in edifici storici, a partire dalla mostra organizzata nel 1979 al Castello Colonna di Genazzano, Le Stanze.
La prima esposizione qui documentata è quella di Mambor e Pascali curata a Napoli nel 1966, in quella libreria Guida dove avvennero gli incontri decisivi con Sanguineti, Balestrini, Kerouac, Ginsberg. In quel contesto egli maturò un interesse per la scrittura che lo condusse a partecipare alla stagione conclusiva del Gruppo 63, e che presto si trasferì dall’ambito poetico a quello artistico. Ma già in occasione di Amore mio, a Palazzo Ricci di Montepulciano nel 1970, Bonito Oliva mise in discussione la funzione della critica. Dopo aver segnalato nella presentazione la volontà degli artisti di esprimersi in maniera libera sia dai vincoli del mercato sia da quelli della mediazione critica, egli inserì anche il proprio nome nell’elenco degli artisti e si riservò alcune pagine in catalogo, pubblicando un ritratto fotografico dedicatogli da Mulas, accompagnato da citazioni di un testo di Blanchot.
Con Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/1970, organizzata nel 1970 al Palazzo delle Esposizioni di Roma nella prima collaborazione con gli Incontri Internazionali d’Arte di Graziella Lonardi Buontempo, egli si pose l’obiettivo di fornire un bilancio del decennio appena trascorso, invitando gli esponenti delle diverse tendenze della neo-avanguardia italiana ma lasciando sullo sfondo etichette e definizioni. Emergeva invece in primo piano il dato comune della vitalità creativa e della volontà di rovesciamento dei codici linguistici cui alludeva il riferimento a Nietzsche suggerito dal titolo. La stazione successiva della sequenza è Contemporanea; internazionale, multidisciplinare, installata negli spazi stranianti del parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, questa mostra sancì in via definitiva il nuovo ruolo di Bonito Oliva, non più solo compagno di strada degli artisti, ma costruttore di strategie espositive di ampio respiro, pronto a misurarsi con proposte critiche capaci non solo di interpretare ma anche di indirizzare il flusso delle ricerche artistiche.
La metà degli anni settanta ha rappresentato da questo punto di vista il tornante decisivo, identificabile nella pubblicazione nel 1976 de L’ideologia del traditore. In quel testo il tramonto dei riferimenti politici ed esistenziali degli anni sessanta e l’aprirsi della crisi delle ideologie si potevano leggere in filigrana nell’analisi delle attitudini degli artisti manieristi: «lateralità», «solitudine operativa», «sentimento minoritario», «utilizzazione della convenzione», «stile». Erano racchiuse in queste pagine, nell’affermarsi della convinzione che così come la storia neanche l’arte proceda per linee progressive, le premesse della Transavanguardia, che avrebbero trovato formulazione esplicita nell’articolo eponimo pubblicato su «Flash Art» nel novembre del 1979. A questo passaggio, e alle diverse esposizioni che lo hanno tematizzato, è dedicato in mostra lo spazio più ampio, nella sala che apre il percorso conducendo il visitatore a confrontarsi con opere di Chia, Cucchi, Clemente, Paladino e De Maria, ma prima ancora con il dialogo tra due dipinti fuori sincrono, il Ritratto di Ludovico Martelli di autore ignoto della prima metà del XVI secolo e l’Autoritratto con la propria ombra di Giorgio de Chirico del 1920. Provenienti la prima dal Museo di Palazzo Vecchio di Firenze, la seconda dalla collezione Cerruti in deposito a lungo termine al Castello di Rivoli, queste opere ripropongono la questione dell’anacronismo che ha orientato la cultura visiva italiana tra anni settanta e ottanta, e insieme quella di una soggettività ambigua e sfuggente, portatrice di quello «sguardo obliquo» (teorizzato da Bonito Oliva nel 1978 in Passo dello strabismo) di cui era portatore, nella copertina della prima edizione de L’ideologia del traditore, il volto del letterato Ludovico Martelli, là effigiato nel ritratto di Pontormo, qui in quello di un anonimo pittore fiorentino.
I successivi capitoli di questa biografia espositiva riguardano la direzione della XLV Biennale di Venezia (Punti cardinali dell’arte) e la curatela delle mostre dedicate a Fluxus (Ubi Fluxus ibi motus, Venezia 1990), alla definizione di una specificità dell’arte italiana del XX secolo (Minimalia. Da Giacomo Balla a…, con tappe a Venezia, Roma e New York tra il 1997 e il 1999) e all’attività di gruppi e comunità artistiche (Le Tribù dell’Arte, Roma 2001), per concludersi con due retrospettive curate a Roma nel 2010 (La natura secondo de Chirico al Palazzo delle Esposizioni; De Dominicis. L’immortale in occasione dell’inaugurazione del MAXXI).
In catalogo i diversi aspetti dell’attività di Bonito Oliva sono approfonditi in saggi e conversazioni da Carolyn Christov-Bakargiev, Hans Ulrich Obrist, Andrea Viliani, Marcella Beccaria, Andrea Cortellessa, Carlo Falciani, Stefano Chiodi, Laura Cherubini, Cecilia Casorati, Clarissa Ricci, Paola Marino, Antonello Tolve. In mostra il protagonismo di Bonito Oliva conquista spazio e si esprime in forme diverse, dai tanti ritratti che gli artisti amici gli hanno dedicato ai carteggi, alle fotografie, agli oggetti raccolti come elementi costitutivi di uno studiolo contemporaneo, dal ritratto filmico di Irene Dionisio A.B.O. Transitando, realizzato per l’occasione, alle interviste e ai programmi RAI da lui ideati o dedicati alle sue mostre, alla conversazione con Carolyn Christov-Bakargiev che contiene in sé il senso e il perimetro di questo progetto, il cui audio ci segue nella parte conclusiva del percorso. «Nella mia visione – dichiara Bonito Oliva ad apertura del dialogo – la mostra si regge su tre livelli, ovvero espositivo, saggistico e comportamentale. Mi riferisco alla mia attitudine performativa, al protagonismo che negli anni ha dato corpo alla mia critica artistica».
La mostra svela così il suo carattere autoriale e onnicomprensivo, nella circolarità di un impianto espositivo in cui l’oggetto dell’analisi è costantemente presente come parte attiva, ma insieme offre, attraverso i tanti documenti inediti, la premessa per successivi passaggi di analisi, raffronto, contestualizzazione.

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