Il 2020 è una data che fa paura. L’idea è che non ci sarà futuro per tutti. Perché di questo si parla quando si dice che all’Italia servirà arrivare fino al 2020 prima di tornare a un livello di disoccupazione del 9%, cioé il dato che si registrava alla fine del 2011, non proprio all’età dell’oro per i disoccupati nostrani. Inoltre, sempre che si avveri la «profezia» dell’istituto di ricerca ed analisi macroeconomica Prometeia, al nostro paese non basteranno 14 anni per recuperare i livelli di crescita perduti. E saremo nel 2027.
Una situazione che produrrà effetti devastanti sul mercato del lavoro, con l’industria che a causa della recessione «ridurrà in modo permanente l’occupazione a favore di un incremento di produttività». Quindi si profila un nuovo esercito di disoccupati nonostante una «ripresina» che negli anni non sarà sufficiente ad invertire la rotta.
Quanto al passato, la fotografia del disastro in corso è presto detta: secondo Prometeia, dalla vigilia della crisi mondiale ad oggi, la disoccupazione in Italia è sostanzialmente raddoppiata. Nel 2007, poco prima del crack finanziario globale, il tasso di cittadini senza lavoro si aggirava attorno al 6%, mentre nel 2013 si avvicinerà al 12%. E per la Commissione europea il prossimo anno questa soglia verrà addirittura superata, raggingendo il 12,2% nel 2014. Secondo Bruxelles, in Italia «la ripresa dell’attività economica è troppo lenta per ridurre la disoccupazione». Del resto lo dice la Ue che «senza riforme, l’alta disoccupazione potrebbe mettere a rischio la coesione sociale» – laddove la parola «riforme» mette in brividi.
Appare dunque tanto più urgente, e scontato, l’urlo del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni che parla di «tenuta sociale a rischio» chiamando direttamente in causa il governo Pd-Pdl. Subito. «Trovino immediatamente 1,5 miliardi entro maggio – dice Bonanni – per il rifinanziamento della Cig in deroga, a rischio ci sono oltre 700 mila cassintegrati che altrimenti andranno ad aumentare le fila dei disoccupati». Per Bonanni, Enrico Letta prima di farsi un giro in Europa avrebbe dovuto – deve – incontrare con urgenza le parti sociali per mettere a fuoco alcune priorità irrinunciabili.
E fra queste, per il leader della Cisl, non c’è l’Imu. «E’ arrivato il momento di abbassare fortemente le tasse sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Bisogna ridurre il cuneo fiscale. Non c’è più tempo da perdere. La priorità è il taglio delle tasse più che l’Imu, se qualcosa si vuole fare, si esenti dal pagamento soltanto chi ha un’unica casa». E per il taglio delle tasse, precisa Bonanni, «non si può più aspettare e vanno destinate tutte le risorse disponibili». Altro punto imprescindibile, evitare l’aumento di un punto percentuale dell’Iva, «l’unico modo per rilanciare i consumi».
Le questioni aperte, «i nodi», sono questi. Non lo nascondono al ministero dell’Economia annunciando un «week end di lavoro» per studiare alcune misure per affrontare i tre capitoli che «costano» la bellezza di 6 miliardi di euro da trovare entro la fine del mese: Imu (altrimenti il governo va già a casa), Iva e Cig. Il sottosegretario all’Economia PierPaolo Baretta (Pd), confermando le esigenze finanziarie di copertura, a spanne ha già fatto due conti. Evitare l’aumento dell’Iva previsto per luglio costerebbe circa 2 miliardi, per la cassa integrazione sarebbero necessari tra 1 e 1,5 miliardi di euro, mentre la sospensione della prima rata Imu richiederebbe circa 2-3 miliardi. Per l’abolizione totale della tassa sulla casa sarebbero invece necessari 4 miliardi, che salirebbero ulteriormente se – come pretende Silvio Berlusconi, tanto per testare la sudditanza degli alleati – fosse abolita anche quella sui terreni agricoli.