Bonaccini evoca Renzi, «Può tornare nel Pd». Bettini: non se ne parla
L'estate sta finendo Il governatore emiliano si scalda: «Io ho preso i voti dei 5 stelle» Cuperlo vince la sfida degli applausi per il No al referendum
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E’ bastato nominare Matteo Renzi per far risalire la tensione del Pd. A toccare il nervo scoperto è stato Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia sempre più stretto nei panni di leader locale. E comunque sempre più desideroso di ridare vigore e identità al Pd «perché non possiamo accontentarci del 20%». E così venerdì sera Bonaccini ha detto «se vogliono Renzi e Bersani rientrino pure». Ieri, intervistato sullo stesso palco della festa nazionale nella sua Modena, ha un po’ corretto il tiro: «Facciano quello che vogliono, a me interessa recuperare i milioni di voti persi dal Pd dal 2008 a oggi». E ha lodato Zingaretti: «Ha preso un partito che era sprofondato al 18%, ha subito delle scissioni ed è riuscito a rimettere in piedi una forza politica che ha avuto il coraggio di mettere in campo il governo giallorosso».
L’EVOCAZIONE DI RENZI però è bastata a riaprire ferite e interrogativi sulle reali intenzioni del governatore. «Gli abbiamo fatto tana», sospira un deputato molto vicino a Zingaretti. «Lo sanno tutti che dietro Bonaccini c’è Renzi. Ora è stato costretto ad ammetterlo anche lui». «Davvero non si capisce come Bonaccini pensi di far rientrare Renzi nel Pd», attacca il deputato Michele Bordo. «Forse dimentica che Renzi ha fondato Italia Viva proprio con l’obiettivo di distruggere il Pd. Davvero un’uscita alla Tafazzi…».
Anche Goffredo Bettini, principale ideologo di Zingaretti, prende di mira Renzi: «Il suo ritorno non è auspicabile. Dice che M5S e Pd gli fanno schifo ma ci governa, gli fanno schifo ma poi ribadisce che il governo non deve cadere». Dice ancora Bettini: «Ha detto bene Franceschini: Zingaretti è l’ultimo al quale dare la responsabilità di una sconfitta alle regionali, per me improbabile. Chi vuole colpire lui lo fa per azzoppare il governo».
Oggi il segretario chiuderà la festa a Modena, con lui sul palco ci sarà anche il governatore che ieri ha monopolizzato la festa. «Non me ne frega niente di fare il segretario», ha risposto a Lucia Annunziata. Ma ha ribadito di voler dare «un contributo di idee», in particolare nel rapporto coi 5 stelle. «Qui in Emilia-Romagna quando hanno detto no all’alleanza non abbiamo pianto. Siamo andati a prendere i loro voti casa per casa». E ancora: «Non mi pare difficile convincere il M5S sul Mes, sono soldi per la sanità pubblica, il Pd deve pretenderlo. E se lo dico do una mano a Zingaretti. Cosa devo fare di più?».
LA DOMANDA ALEGGIA in una sala dibattiti che ascolta ma non si lascia trasportare in standing ovation per il governatore che pure, ricorda lui stesso, «qui è a casa». Lui alterna bastone e carota, critica Zingaretti per aver «tergiversato sul referendum». «La scelta del sì andava fatta prima!». «Ma se vince il No il governo resta in piedi, non cade il mondo». Preoccupa di più l’esito delle regionali. Bonaccini sprona i suoi colleghi delle regioni al voto: «Non dobbiamo avere paura di andare in piazza, a parlare con la gente. Noi siamo andati in piazza a dicembre e la gente è venuta. Si vince se smettiamo di guardare le persone dall’alto in basso».
E se le regionali andassero male? «Conte ha ragione, il governo deve comunque andare avanti!», spiega al manifesto. «In Italia si vota spesso, non è possibile che ogni appuntamento diventi un giudizio di dio sul governo nazionale. C’è bisogno di stabilità. Ma se le alleanze locali erano così importanti andavano messe subito negli accordi per la nascita del governo». Su Conte: «Sulla pandemia ha fatto bene. Se gestirà bene i soldi del Recovery Fund è naturale che possa essere il leader del centrosinistra». Bonaccini difende il suo Sì al Referendum: «Sono trent’anni che nei nostri programmi c’è la riduzione dei parlamentari».
LA PLATEA NON SI SCALDA per il Sì. La prova arriva pochi minuti dopo, quando sul palco salgono Gianni Cuperlo per il No e Maurizio Martina per il Sì. Due dirigenti di peso sui fronti opposti. La gara degli applausi la vince Cuperlo, in particolare quando racconta “l’apologo dell’Incompiuta di Schubert” attribuito a Mino Martinazzoli, storia di un capo azienda che chiede a un suo dipendente di recensire l’opera e questo sostiene che con meno violini e meno oboi l’opera «avrebbe potuto essere più breve. E magari l’autore l’avrebbe completata». «Voglio ascoltare l’Incompiuta esattamente come Schubert l’ha pensata!», la frase di Martinazzoli che scatena gli applausi del pubblico Pd.
«Purtroppo le nostre istituzioni non sono un’orchestra intonata», la replica di Martina. «Da parlamentare vi assicuro che il Parlamento così non funziona, il Sì ci consente di riaprire un lavoro per dare più centralità al Parlamento. Rischiamo di essere conservatori». Cuperlo contrattacca: «C’è una radice antipolitica nella riforma dei 5 stelle, le forbici lo dimostrano. Quando lo fissiamo un argine a questa deriva? Dobbiamo dire che c’è una soglia oltre cui non si passa. E se non lo fa la sinistra chi lo deve fare?».
Se Martina ricorda i rischi di un altro fallimento delle riforme, come al referendum del 2016, Cuperlo ricorda invece le riforme sbagliate:«Abbiamo messo il pareggio di bilancio in Costituzione, siamo stati corresponsabili. Io non sono conservatore ma quando si tocca la Carta bisogna avere cautele doppie e triple». E ancora: «Lo so che il Sì è in vantaggio, proporre il No agli italiani è come offrire una fiorentina a un vegano…». E Martina: «Questa è una riforma chirurgica, anche Francia e Germania stanno pensando a ridurre i parlamentari…». Applausi pure per lui, ma il cuore della festa batte per il No.
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