Non è esagerato indicare Omara al Moctar alias Bombino come l’ultima rivelazione emersa da un paese, il Niger, che al pari del vicino Mali è sempre prodigo nel distillare fibrillazioni sonore come quelle raggruppate sotto il termine ombrello di «Tuareg music», caratterizzata oltre che da tradizioni millenarie – come i canti tradizionali femminili accompagnati dal tendè, o i canti accompagnati dal violino monocorde, e via dicendo – anche dallo stile chitarristico detto «dry style». In pratica, il tipico finger-picking, già sperimentato da Ali Farka Tourè o dai Tinariwen, che Bombino sfodera con grande maestria sulla sua inseparabile sei corde.

A dirla tutta, l’etichetta desert-blues, per esempio, è stata appiccicata , come al solito, dagli occidentali, a tutto quel florilegio di musiche e di artisti provenienti dall’Africa Nord-Occidentale che si sono approcciati al rock-blues, i quali, in realtà, condensano in una miscela capace tanto di valorizzare i confini tra gli stili e le varie identità regionali del Sahel quanto i pentatonalismi del blues, il più classico «guitar Tuareg», ovvero un modo come un altro per indicare la fascinazione che il popolo Tuareg ha subìto da un certo momento in poi per la chitarra, uno strumento così inviso (al pari e forse più dei fucili) all’Islam, sia teologi che militari che si accompagnano alle milizie jihadiste, tanto da essere messa al bando nel corso delle ribellioni tuareg dei primi ’90.

In un tale contesto l’incontro di Bombino – con la chitarra era quasi scontato. Prima di tutti, però, il virtuoso chitarrista di Agadez, deve ringraziare un suo zio pittore il quale gli regalò una chitarra che Bombino ha cominciato a suonare da autodidatta senza saper leggere le note: «Cercavo di imitare i miei cugini mentre imparavo a suonarla quando ero rifugiato in Algeria. Guardavamo molti video dei più grandi chitarristi e volevamo suonare come loro. È stato così che ho scoperto Jimi (Hendrix), Dire Straits e Santana.»

Bombino, che sarà domani a Varese in occasione di Convergenze Festival e il 18 luglio a Ravenna, entrato nel giro di Dan Auerbach, ha registrato il suo secondo album come Bombino (il primo album è uscito a nome di Group Bombino) dal titolo Nomad (Nonesuch, 2013). «Il sound dell’album con Dan ritengo sia un mix tra il rock africano che si ascoltava nei club di Niamey o Agadez e il classico rock’n’roll americano degli anni ’60 e ’70. Praticamente la combinazione dei due stili che mi hanno influenzato e con cui sono cresciuto come artista.» Purché non la si chiami world-music, un’etichetta che Bombino davvero non sopporta per via della evidente tautologia che racchiude in sé: «Sento le persone utilizzare il termine world-music ma secondo me non significa nulla. Tutta la musica da qualsiasi posto essa provenga è ’del mondo’ o no?».

Si riferisce alla musica africana? «Più semplicemente un artista africano che suona rock non può essere chiamato rocker? Penso che nel 2015 dovrebbe essere giunta l’ora». Si tratta dunque per Bombino di conferire pari legittimità culturale non solo alle musiche che provengono dall’Africa ma agli stessi artisti africani al cospetto dei più blasonati rocker occidentali, insomma di rimettere mano alle gerarchie che da troppo tempo dominano la stessa musica popular piuttosto che crogiolarsi in etichettature e categorizzazioni.

La fa facile Bombino, se solo dietro alle gerarchizzazioni non esistessero ragioni di dominio e subordinazione! D’altra parte gli stessi Tuareg ne sanno qualcosa in fatto di subordinazioni politiche e culturali e pur di autodeterminarsi come popolo indipendente hanno fatto ricorso finanche agli estremi rimedi di allearsi con i jihadisti. Ma sull’argomento Bombino evade e dice: «Non sono una persona religiosa. Non sono mai stato un vero credente nell’Islam. Rispetto coloro che lo praticano e la fede religiosa di chiunque purché in nome di una qualsiasi fede non si arrechi male agli altri».