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Bombe e armi all’Iraq: gli Usa non si sporcano le mani

Bombe e armi all’Iraq: gli Usa non si sporcano le maniRaid Usa su Kobane – Reuters

Iraq/Siria Washington vende 600 milioni di missili a Baghdad e prepara un piano per addestrare le truppe di terra. Alle opposizioni siriane si impone di difendere, ma non di attaccare

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 24 ottobre 2014

Dopo due giorni di scuse a mezza bocca, ieri il Pentagono ha ammesso quello che si sapeva già: due dei 28 pacchi di armi dirette ai kurdi di Kobane sono piovute sulle postazioni dello Stato Islamico. Prima la colpa era del buio, adesso del vento, fanno sapere funzionari Usa.

Ma la coalizione non si fa scoraggiare, tanto meno il presidente Obama che prosegue nella strategia finora adottata: raid dal cielo e armi alle truppe locali. La Casa Bianca ha fatto sapere che venderà 600 milioni di dollari in equipaggiamento militare al governo di Baghdad: missili, fucili, munizioni per carri armati.

«È parte del nostro impegno a fornire materiale da difesa al governo iracheno contro l’Isis», ha commentato la portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf. Ora il Congresso avrà un mese di tempo per dare il via libera alla vendita.

Dopo aver speso 24 miliardi di dollari durante gli anni dell’occupazione per addestrare e armare le truppe irachene, l’obiettivo resta lo stesso, rafforzare lo stesso esercito che l’avanzata dell’Isis ha fatto collassare, vista l’intenzione di Obama di non inviare propri marine nel paese.

Per farlo è stato approntato un piano congiunto per gestire le operazioni militari dell’esercito iracheno sul terreno, volte a riprendere il controllo di città e villaggi occupati dagli islamisti. Un piano che necessiterà di alcuni mesi di preparazione e della partecipazione dei consiglieri militari Usa. L’obiettivo è passare dalla difesa del territorio ancora controllato da Baghdad alla ripresa di quello caduto in mano all’Isis.

Dall’altra parte della frontiera, in Siria, la strategia Usa punterà sull’addestramento delle forze di opposizione moderate solo a difesa del territorio. Nessuna offensiva per riprendere quanto già caduto, fa sapere l’esercito, ma solo azioni che evitino ulteriori occupazioni da parte islamista. A monte il timore di non poter controllare la battaglia di terra, a causa dell’assenza di truppe della coalizione.

Per questo la Casa Bianca punta a restringere il raggio di azione di gruppi di opposizioni appoggiati da tre anni ma di cui si fida ancora poco. Il nuovo piano prevede l’arruolamento di miliziani in Giordania, Turchia e altri paesi arabi, il successivo addestramento in Arabia saudita per otto settimane e l’invio in Siria nelle zone ancora sotto il controllo dell’Esercito Libero Siriano.

Al resto penseranno i bombardamenti, intensificatisi negli ultimi giorni soprattutto a nord della Siria. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, in un mese di campagna la coalizione ha ucciso 553 miliziani dello Stato Islamico. Non sono mancati i cosiddetti «danni collaterali»: 32 civili sono morti nei radi, tra loro 6 bambini e 5 donne.

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