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Bombardamenti aerei, guerra globale

Bombardamenti aerei, guerra globaleDue vigili del fuoco londinesi davanti a un edificio bombardato mentre i muri crollano nel fuoco, maggio 1941, dopo un’incursione notturna della Luftwaffe tedesca foto Ap

Novecento e oltre Riflessioni intorno a «Il governo del cielo», di Thomas Hippler edito da Bollati Boringhieri

Pubblicato più di un anno faEdizione del 15 aprile 2023

«L’aviatore come poliziotto, la bomba come manganello» (così lo scrittore svedese Sven Lindqvist). C’è un punto di avvio, dal quale tentare poi di dipanare il discorso sul significato sociale della guerra nell’età contemporanea. Per capire i conflitti del Novecento, bisogna addentrarsi, e quindi ragionare, sulle feroci campagne coloniali dell’Ottocento. A partire dalla sparizione dell’Africa, un continente che alla fine di quel secolo era divenuto il territorio di un potere globale, quello europeo.
Su di esso, ovvero contro le popolazioni civili indifese, prima ancora che nei confronti di quanti cercavano attivamente di opporsi alla brutale spartizione di terre, risorse e beni, si testarono tecnologie, procedure e strumenti che poi, nel volgere di poco tempo, sarebbero divenuti parte integrante delle guerre mondiali. Il colonialismo continentale, quindi, non fu un evento a sé, esauritosi laddove si era manifestato, ma un vero e proprio dispositivo tecnico-politico di riorganizzazione delle comunità umane, che venne poi trasposto ed impiantato nell’Europa stessa, a partire dalla Prima guerra mondiale.

L’ASSUNTO DI FONDO del volume di Thomas Hippler, Il governo del cielo. Storia globale dei bombardamenti aerei (Bollati Boringhieri, pp. 189, euro 25, traduzione di Maria Lorenza Chiesara) è che le guerre nazionali, in realtà, non siano mai per davvero esistite. Per inciso, è insita nella natura del conflitto moderno una duplice ragione: insieme all’aperta e manifesta contrapposizione tra i diversi Stati (posta l’immediata identificazione delle «nazioni», come insieme di popoli, con gli interessi dei gruppi di élite) la guerra costituisce un fattore ordinativo nella violenta ristrutturazione delle società, colpendo prevalentemente, se non esclusivamente, le classi subalterne. Per tale ragione si può apertamente parlare di una sorta di riproduzione delle dinamiche coloniali all’interno delle società europee. «La ’guerra civile mondiale’ iniziata con la prima guerra mondiale polverizza l’antica separazione del mondo tra un centro in cui la violenza veniva contenuta dallo Stato e una periferia dove poteva essere totale. Il bombardamento delle popolazioni civili nella periferia del sistema veniva giustificata dal vuoto di civiltà delle colonie. D’ora in poi tale argomento verrà applicato anche ad alcune categorie di europei. E la configurazione mondiale nata dalla Rivoluzione d’ottobre aggiunge una dimensione supplementare: la minaccia che pesa sulla civiltà non proviene più necessariamente dall’esterno».
È dal ritorno sulla scena politica del fantasma del quarto stato, non più in quanto ottocentesca plebe tumultuosa ma come partito rivoluzionario, quindi capace di minare dall’interno la stabilità dell’ordine liberale, che si rigenera l’idea dell’uso della tecnologia bellica contro la propria stessa collettività. Poiché si tratta di indebolire la capacità di quel nemico interno che sono le «classi pericolose», i soggetti eversivi della trasformazione storica.

IL PENSIERO STRATEGICO di un governo dal cielo è parte integrante di tale risposta. Tutta l’intelaiatura descrittiva e, al medesimo tempo, analitica del volume di Hippler, docente di storia contemporanea all’Università di Caen, è giocata sul paradigma del «governo del mondo», in funzione coercitiva, laddove la guerra ridetermina completamente il senso dell’unitarietà della collettività, sezionando e separando i destini della maggioranza di essa, quella in posizione marginale, dalle minoranze affluenti, effettive destinatarie dei benefici degli eventi bellici. Non è in sé una tesi nuova. Gli internazionalismi socialista prima, e poi quello comunista, lo avevano tematizzato come premessa al rifiuto della partecipazione alle «guerre dei padroni», a favore invece delle coalizioni di classe. Non si trattava, nel qual caso, di un rigetto della violenza (il cui richiamo, invece, attraversa molti movimenti sociali a cavallo tra Ottocento e Novecento, sospinti verso l’ipotesi della liceità del ricorso alle guerre civili) bensì dell’indisponibilità nel continuare a riconoscere legittimità al «potere borghese», spacciato come espressione di una collettività nazionale contro la quale, invece, grazie alle guerre, può rinegoziare a proprio favore i rapporti di forza.

IN ALTRE PAROLE ANCORA, la specificità dei conflitti mondiali del Novecento (al medesimo tempo guerre di massa, dove le tecnologie di distruzione vengono spinte al massimo, e conflitti contro le masse, proiettando lo scontro sociale sul piano della contrapposizione etno-nazionale) riposa in un non detto paradossale, quello per cui si può tenere insieme una nazione solo se la si divide al suo interno. Non si tratta esclusivamente del regime di «eccezione» e di «emergenza», quello che azzera ogni dialettica democratica, nel nome di una minaccia alla quale rispondere comunemente, ma di una pressione costante che colpisce selettivamente segmenti della popolazione, variamente chiamata ad assolvere il ruolo di vera e propria carne da cannone. Perlopiù attraverso la leva obbligatoria, la mobilitazione produttiva, il finanziamento del debito, la perdita delle proprie risorse di sostentamento, gli spostamenti forzati e, non a caso, la stessa violenza bellica.

LA RIFLESSIONE argomentata sulla guerra dal cielo (contro gli insediamenti umani in terra), supportata da un grande numero di riferimenti tecnici e di ricadute analitiche, per Hippler va inserita in questo orizzonte di significati. L’evoluzione dei bombardamenti, dalle loro prime manifestazioni, partendo dalla guerra italo-turca, per arrivare all’uso dei droni, si inscrive all’interno di questa cornice. Il volume si presta quindi ad una molteplicità di letture.
Esiste un profilo storico, quello con il quale l’autore argomenta delle infinite trasformazioni che i bombardamenti – il vero fuoco della sua attenzione – conoscono nel tempo. Entrano in gioco, nel qual caso, non solo le variabili tecnologiche ma anche il crescente anonimato (di vittime e carnefici) che una guerra dall’alto garantisce a quanti prendono parte ad essa. Così come il lievitante livello di de-umanizzazione che si accompagna alla radicalizzazione tecnica.

SUSSISTE POI un approccio analitico, dove interviene il tema della sconfitta dell’avversario attraverso un processo di vera e propria denazionalizzazione delle masse: la chiave di volta dell’annichilimento altrui riposa nella capacità di spezzare la fittizia unitarietà tra popolo e Stato, rendendo il primo progressivamente indisponibile a recepire i comandi che arrivano dal secondo.
In diverse parole, la collettività popolare cessa di riconoscersi nell’autorità quand’essa non si sente più protetta, e quindi rappresentata, da quest’ultima. Si dà quindi un criterio metodologico al quale il libro rimane fedele: «i bombardamenti fungono da punto di partenza di una storia globale una serie di esempi che appaiono particolarmente illuminanti per cogliere le mutazioni del sistema-mondo nel secolo scorso». Poiché essi diventano la cartina di tornasole sulla base della quale misurare il diffondersi di una retorica delle guerre umanitarie, o di polizia, che nullifica il senso di responsabilità nell’azione violenta, riduce la vita altrui a mero numero, allontana definitivamente lo spettro del contatto tra antagonisti, ripristina – in salsa tecnologica – l’idea di una giustizia universale somministrata attraverso il ricorso a ciò che si presenta al pari di un intervento chirurgico, operato a distanza di sicurezza.

UN ULTERIORE elemento di lettura che accompagna tutte le pagine è la riflessione sulla progressiva elisione della distinzione tra dimensione militare e vita civile. Se ancora nelle guerre mondiali era il tema della spasmodica «mobilitazione» delle risorse collettive, da dopo il 1945 diventa il piano inclinato della trasformazione della guerra in operazione di polizia. Di fatto l’evento bellico perde definitivamente il suo profilo autonomo, ossia di interruzione della vita civile, diventando invece una dimensione dentro la quale inquadrare rilevanti aspetti della riorganizzazione autoritaria e gerarchica di quest’ultima. Se un tempo la promessa di un orizzonte comune era data dal volere dare l’«assalto al cielo», con la guerra aerea è l’empireo del potere che ridisegna i rapporti di subalternità tra servo e padrone.

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