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Bologna contro la chiusura dell’hub

Bologna contro la chiusura dell’hubIl centro regionale di smistamento per richiedenti asilo – Ansa

Richiedenti asilo Davanti al centro regionale di smistamento, per ore centinaia di volontari, avvocati e traduttori hanno aiutato gli stranieri ad orientarsi e a cercare un tetto per la notte. La città solidale e accogliente si è mobilitata per aiutare gli stranieri a rimanere

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 12 giugno 2019

«C’è qualcuno che parla il tamil?». Alle tre del pomeriggio è ormai da ore che Marta fa domande del genere, e che mette in collegamento migranti con interpreti e avvocati, col sole che picchia forte sull’asfalto del piazzale davanti all’hub di Bologna, il centro regionale di smistamento dei richiedenti asilo. Accanto a lei, operatrice sociale dell’accoglienza di una delle tante coop bolognesi del settore, sono arrivati anche avvocati, militanti dei centri sociali, sindacalisti di Usb, Adl Cobas e Cgil, sindaci con la fascia tricolore da tutta la provincia, consiglieri comunali.

È la pancia della Bologna accogliente e solidale che ieri ha portato 400 persone ad occupare per ore la strada di fronte al centro di accoglienza cittadino, in protesta contro la decisione della Prefettura – su indicazioni del Ministero dell’Interno – di chiudere tutto praticamente da un giorno all’altro.

Una comunicazione venerdì scorso ai gestori (il consorzio di cooperative l’Arcolaio), un’intervista sulla stampa locale il mattino successivo, la chiusura totale di fronte alle controproposte delle coop che puntavano a salvare lavoro e progetti di accoglienza, ed ecco materializzarsi i fatidici sette giorni ad un centro aperto da anni che ha visto transitare dalle sue mura 30 mila migranti, e per giunta senza un solo borbottio dal quartiere. Sette giorni che poi sono diventati ore, visto che ieri sono stati inviati i bus per svuotare lo stabile e portare tutti i 150 migranti nel cuore della Sicilia, a Caltanissetta. Un blitz. Con buona pace dei percorsi di integrazione che quasi tutti avevano avviato a Bologna, della domanda di asilo di fronte alle commissioni territoriali, dei lavori – chi in regola, chi meno – che alcuni erano addirittura riusciti a trovare. Con tanti saluti anche ai 35 operatori che nell’hub lavoravano, 54 i lavoratori complessivamente coinvolti nella struttura.

«È la campagna elettorale di Matteo Salvini che non si ferma – tuona il segretario regionale della Cgil, Luigi Giove – Dopo aver vinto a Ferrara, la Lega ha deciso di colpire la buona accoglienza bolognese». «Un fatto grave e violento», dichiara il Pd locale. «Tutto sarà fatto ricadere sulla spalle del Comune», ragionano gli uffici del sindaco Merola. Alla fine della giornata i quattro bus che il Ministero ha inviato per il trasferimento dei migranti – una «deportazione», per i manifestanti – sono ripartiti verso sud con solo una trentina di passeggeri sui 150 previsti. Tutti gli altri hanno deciso di restare a Bologna. Merito degli operatori sociali che lunedì notte hanno fatto le ore piccole per raccontare loro la situazione in una grande assemblea convocata all’ultimo momento, degli avvocati che ieri hanno spiegato in strada a tutti i loro diritti, dei traduttori che hanno speso ore e ore per raccontare a tutti i 150, in inglese, francese, tamil, urdu e arabo, che salire sui bus non era un obbligo nonostante la presenza della celere, e che il non salire non avrebbe comportato necessariamente la cessazione del diritto all’accoglienza.

Quella di Bologna è stata una protesta all’incontrario, dove la città si è mobilitata a favore dei migranti, e per permettere loro di restare sul territorio. Così il quasi picchetto del mattino che si prefiggeva di bloccare «i bus di Salvini» di fronte ai cancelli, si è trasformato in un laborioso presidio per dare assistenza e cercare un tetto a tutti per la prima notte, in attesa di un passo deciso da parte del Comune di Bologna, più preoccupato di evitare lo scontro frontale col Ministro dell’Interno e perimetrare le rispettive responsabilità, che di risolvere il problema mettendoci risorse proprie.

A lavorare sulla situazione tre assessori della giunta Merola. Due i fronti: i posti di lavoro da salvaguardare e i migranti che non sono voluti andare in Sicilia a cui dare un tetto, vista la chiusura del centro accoglienza. Al momento della chiusura di questo pezzo importante del sistema di accoglienza, nessuna soluzione concreta è stata trovata. Nel pomeriggio di ieri però sono stati 30 i posti letto messi a disposizione dalla cittadinanza, in attesa delle istituzioni.

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