Bologna, alta tensione all’università
Il rettore più giovane d’Italia ha ritenuto opportuno chiamare le forze dell’ordine, senza coinvolgere gli organi della rappresentanza studentesca, che in assetto anti sommossa hanno liberato i locali di Lettere […]
Il rettore più giovane d’Italia ha ritenuto opportuno chiamare le forze dell’ordine, senza coinvolgere gli organi della rappresentanza studentesca, che in assetto anti sommossa hanno liberato i locali di Lettere […]
Il rettore più giovane d’Italia ha ritenuto opportuno chiamare le forze dell’ordine, senza coinvolgere gli organi della rappresentanza studentesca, che in assetto anti sommossa hanno liberato i locali di Lettere dagli occupanti dei collettivi autonomi. Il sindaco parla di delinquenti, la procura chiede sette arresti, la questura segue le mosse degli autonomi con forze antisommossa e Salvini parla di eversivi con la Porsche. Si ha l’impressione che si voglia dare una lezione di repressione prima ancora di capire con quale fenomeno giovanile si sta facendo i conti.
Bisogna partire dal territorio del centro di Bologna e dal suo rapporto con gli istituti universitari. PiazzaVerdi è al centro della cittadella dell’università di Bologna, una piazza occupata dallo spaccio e dalla criminalità organizzata. A tutte le ore si smercia ogni tipo di droga, dall’eroina alla birra. Vi albergano indisturbati oltre a spacciatori, ladri e borseggiatori anche una fascia di marginalità sociale e di studenti contestatori, formando un miscuglio sociale rumoroso, minacciante e violento.
Tanta illegalità è da molti anni lasciata a se stessa e alla sua invadenza, senza che chi di dovere o chi per compiti istituzionali abbia cercato di ristabilire un minimo di decenza, di ordine e di sicurezza, nonostante le continue proteste dei cittadini. Spacciatori e sbandati, da soli o in gruppo circolano indisturbati dalla piazza Verdi alle aule dell’università, rendendo pericolosi e indecenti quei luoghi deputati alla formazione e allo studio.
Una esigua minoranza di studenti dell’antagonismo sociale si muove in questa area per rivendicare autonomia di azione e spazi di autogestione, occupando aule, biblioteche, mense, interrompendo le lezioni e minacciando i docenti «servi del potere». Il Collettivo universitario autonomo (Cua) e altri, come Làbas Lubo, Hobo, in realtà raggruppano un numero esiguo di studenti, una minoranza frastagliata e divisa, sono antagonisti in contrapposizione tra loro stessi,che ritrovano una ragione d’essere quando avvertono un tentativo che mira a ristabilire un minimo di controllo e di sicurezza degli spazi universitari.
Quelli del Cua la scorsa settimana, quando hanno scoperto i tornelli all’entrata della biblioteca di Lettere, si sono subito mobilitati per divellerli e occupare la biblioteca. La polizia su denuncia del rettore è intervenuta all’interno dell’università, dopo quaranta anni, era il 77 l’ultima volta e finì in una tragedia.
Alcuni temono il ritorno a quelle barricate del marzo ’77 a Bologna, altri reclamano una dura e tempestiva repressione.
Gli uni e gli altri non si accorgono che il mondo è cambiato e che gli attuali studenti sono antropologicamente soggetti del tutto nuovi, di cui una minoranza patisce la marginalità sociale e anche il degrado urbano e umano della cittadella universitaria.
Sono i giovani della seconda società, quelli che non sono riusciti ad amare gli studi, quelli che si sentono esclusi e che tramutano il loro malessere in un antagonismo puro e duro.
L’università di Bologna con i suoi 80 mila iscritti deve fare i conti con questa frattura tra gli studenti della prima società che esigono una formazione di eccellenza, rivendicando diritti e servizi alla studio, e quelli della seconda società che sono ai margini e non vogliono seguire alcun percorso d’inclusione, tantomeno di formazione accademica.
L’Ateneo più antico d’Italia non può ignorare questa seconda realtà studentesca e non può credere che siano le forze dell’ordine a gestire questa area giovanile sbandata e terremotata.
La città di Bologna è chiamata a fare la sua parte, sapendo che è dotata di uno straordinario capitale umano e professionale, di una comunità di giovani le cui frange estreme prima di essere combattute vanno aiutate con politiche di socializzazione partecipe e di responsabilizzazione civica. Università e Città dovrebbero reciprocamente valorizzarsi per fare della ricerca e della formazione dei giovani le insostituibili risorse necessarie allo sviluppo di un’economia sociale e di una società aperta a chi non sa vedere la realtà oltre la rabbia e la protesta.
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