Bobbio, il manifesto e gli estremisti
Norberto Bobbio è morto a Torino il 9 gennaio del 2004, aveva 94 anni. Il Centro studi Pietro Gobetti (di cui il filosofo era stato tra i fondatori) lo ricorderà il 18 gennaio a Torino con una lezione di Gustavo Zagrebelsky, prima di una serie di iniziative per il ventennale della scomparsa. Questa intervista che abbiamo scelto di ripubblicare, in estratto, è stata concessa a Loris Campetti in occasione di un altro ventennale, quello della fondazione del «manifesto» e oltre che sul quotidiano (foto in basso) uscì in uno degli inserti con i quali festeggiammo il nostro compleanno speciale.
Professor Bobbio, chissà se anche il manifesto, pur essendosi volontariamente e pervicacemente collocato dalla parte dei perdenti non abbia avuto, nella sua piccola storia, qualche ragione…
Gli stessi dubbi che ho di fronte alla storia universale non posso non averli anche di fronte alla piccola storia dei nostri giorni. Non chiedetemi dunque se io vi ritenga dei perdenti. L’unica cosa che posso dire è che di fronte a quella storia universale di cui io so così poco spesso i perdenti di oggi sono i vincitori di domani. Del resto, è già successo nel nostro paese, non molto tempo fa. Durante il fascismo Salvemini e Gramsci, Gobetti e i fratelli Rosselli sono stati i perdenti. Ma dal punto di vista della storia da cui è nata la nostra repubblica, nella quale ci troviamo ancora a vivere, se pure un po’ trepidanti, non sono stati forse i vincitori?
Proviamo allora ad avvicinarsi per tappe e con qualche esempio a una risposta, magari partendo da un suo giudizio su questo giornale.
Ripeto quello che ho già avuto occasione di dire più volte. Il contrasto tra voi e me è presto detto: voi siete, o per lo meno io vi considero, degli estremisti, mentre io sono un moderato. Lei sa che le parole del linguaggio politico possono avere una connotazione positiva o negativa secondo chi le usa. È probabile che per un moderato la parola estremista abbia una connotazione negativa, così la parola moderato per un estremista. Ricordo che il mio vecchio amico Ludovico Geymonat ha scritto un libro intitolato «Contro il moderatismo», nel quale da buon estremista quale egli è sempre stato usa il termine moderatismo in senso polemico. In questo nostro discorso io cerco di usare entrambi i termini in modo neutrale, per il loro valore descrittivo senza caricarli di un significato emotivo. Ebbene, io mi considero un moderato perché nelle cose della pratica ritengo sia più conveniente rifuggire dalle posizioni estreme. Sono un convinto seguace della antica massima che in medio stat virtus. Con questo, badi bene, non voglio dire che gli estremisti abbiano sempre torto e i moderati abbiano sempre ragione. Fra l’altro non posso dirlo per coerenza, perché il dire che gli estremisti hanno sempre torto e i moderati hanno sempre ragione sarebbe ragionare da estremista. Il moderato può soltanto affermare che nella maggior parte dei casi della vita le soluzioni migliori sono quelle dei moderati.
Quando è successo che ad avere ragione fossero gli estremisti?
Di fronte al fascismo e al nazismo a un certo punto si dovette fare la scelta estrema tra il rassegnarsi e il resistere. Ci si dovette comportare da estremisti. Non ho dubbi che siano stati allora gli estremisti ad aver ragione. In una società democratica, pluralistica, dove ci sono molti gruppi in libera competizione fra loro, secondo regole del gioco prestabilite, che debbono essere rispettate affinché il gioco possa svolgersi regolarmente, è mia convinzione che abbiano maggiori possibilità di successo i moderati. L’istituto fondamentale di ogni democrazia sono le libere elezioni (sul grado di libertà potremo tornare più tardi). In democrazia ogni gruppo ha tanto più potere quanto maggiore è il numero dei voti che riesce ad avere nella competizione elettorale. Ora, è constatazione comune che i voti degli elettori tendono a convergere al centro anziché divergere verso le ali estreme. Piaccia o non piaccia, la democrazia favorisce i moderati e punisce gli estremisti. Si può anche sostenere che è male che sia così. Ma se vogliamo fare politica, e siamo obbligati a farla secondo le regole della democrazia, dobbiamo tener conto dei risultati che questo gioco favorisco.
Soffermiamoci su quelle virgolette che lei mette all’aggettivo libere, quando parla di elezioni nella nostra società democratica. Si riferisce forse allo scarto che c’è tra le promesse (e le aspettative) di 45 anni fa e lo stato della democrazia nel 1991?
Si capisce che nessuna democrazia corrisponde pienamente all’ideale democratico della legittimazione dei governanti attraverso il libero consenso dei governali. Ma ci sono regimi democratici che si avvicinano dì più all’ideale e altri meno. La democrazia è un processo, tanto è vero che io preferisco parlare di democratizzazione che procede e retrocede secondo i tempi e i paesi (da noi rischia di retrocedere) (…) Quando ho scritto che la maggior parte dei mali di cui soffre il nostro paese derivano non dalla costituzione ma da altre ragioni in cui la costituzione non c’entra nulla, non volevo affatto dire che non siano necessari correzioni, ritocchi, aggiornamenti. Volevo soltanto dire, ripeto, che da buon moderato preferisco i piccoli passi ai grandi salti, con cui talvolta si rischia di rompersi il collo.
Vorrei tornare sul rapporto tra vincitori e vinti e tra ragione e torto. Le faccio due esempi: il manifesto fu radiato dal Pci con l’accusa di estremismo, nel senso che avevamo preso all’interno del partito una posizione estrema. Contro i carri armati sovietici a Praga e contro quanto del «socialismo reale» viveva all’interno del Pci e della sinistra italiana in generale, a partire dalle regole di vita interne, dal centralismo democratico. Fummo radiati, e in qualche modo nell’immediato sconfitti. Poi la storia è andata nel modo che lei ben sa. Avevamo forse torto? E ancora: in passato lei ebbe modo di criticare il nostro «estremismo costituzionale», il garantismo «portato alle estreme conseguenze». Siamo stati più volte sconfitti su questo terreno. Forse perché avevamo torto?
Sì tratta di due esempi diversi. Nel primo caso non c’è dubbio che avevate ragione. Ma, ammettetelo, non eravate soli ad aver ragione. I moderati le stesse cose le avevano già dette da un pezzo. Voi in fondo costituendovi come minoranza di fronte ad una minoranza avete finito per raggiungere senza volerlo la maggioranza. Facendo dell’estremismo contro l’estremismo vi siete ritrovati tra i democratici, che le stesse cose avevano già detto da un pezzo. Quanto alla vostra lotta contro le leggi d’emergenza quando si dovette affrontare di petto la minaccia del terrorismo, la vostra è stata senza dubbio una nobile battaglia, ma il terrorismo è stato sconfitto con quelle leggi. È difficile dire oggi se sarebbe stato sconfitto egualmente senza quelle leggi. Non mi pare che di fronte al successo (il successo in politica deve pur contare qualche cosa), lo sconvolgimento del nostro ordinamento giuridico sia stato tale da dover ancora oggi essere continuo oggetto di recriminazione.
Ma noi siamo un piccolo giornale di sinistra, professore, non un grande partito.
Siete un piccolo giornale d’accordo, ma siete un giornale politico, che intende fare politica, incidere sulla vita politica del paese. Siete potenzialmente il germe di un movimento politico. Non siete soltanto dei moralisti, e non volete esserlo. Non ho nessuna difficoltà ad ammettere che molte delle vostre invettive contro il potere, molte delle strapazzate contro i servi del potere, sono fondate. È per questo anche gli avversari vi rispettano. Ma chi vuol fare politica giorno per giorno deve pur adattarsi alla regola principale della democrazia che è quella dello smorzare i toni quando è necessario per raggiungere uno scopo, del venire a patti con l’avversario, del compromesso quando non sia umiliante, e quando è l’unico mezzo per ottenere qualche risultato.
(…)
Quando, all’indomani della svolta di Occhetto, il professor Norberto Bobbio scrisse che la crisi, pur necessaria, del Pci non risolveva certo i problemi delle classi subalterne e delle loro rappresentanze, al manifesto sentimmo queste parole molto consonanti con le nostre preoccupazioni, anche per questo continuammo a schierarci dalla parte del torto o, come lei precisa, dalla parte dei perdenti. E ora, mutato lo scenario, dovremmo cambiare la nostra collocazione? In poche parole, che cosa dovrebbe diventare, secondo Norberto Bobbio, il manifesto?
Non mi permetto di dare consigli, per carità! Fate benissimo a fare quel che avete sempre fatto. Ma siccome lei ha chiesto la mia opinione sui vent’anni del vostro giornale, io ne ho subito approfittato per fare alcune considerazioni, secondo la mia vocazione, sul contrasto tra estremismo e moderatismo, sul rapporto tra moderatismo e democrazia, naturalmente senza avere alcuna pretesa di farvi cambiare idea.
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