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Blue Jasmine: l’inganno come destino

Verità nascoste La rubrica settimanale di Sarantis Thanopulos

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 4 febbraio 2017

Il film di Woody Allen Blue Jasmine, il più tragico dei film sulla crisi finanziaria, mostra oggi una potenza di rappresentazione che al suo apparire non era del tutto dispiegata. Narra la caduta di una donna dell’alta borghesia newyorkese, finita «in bolletta» dopo l’arresto di suo marito, un ricco uomo d’affari. Ancora sotto l’effetto di un crollo psichico, lei si rifugia nel modesto appartamento di sua sorella a San Francisco.

Faticosamente, ambiguamente sembra adattarsi alla nuova vita. Il contrasto tra la vita fatua di Jasmine a New York, narrata in flashback, con la vita grama, ma più a contatto con la realtà e con le emozioni, a San Francisco, mette in rilievo la divisione nel mondo interno della protagonista.

Le strade delle due sorelle, non consanguinee, sono state divise dallo sguardo della madre adottiva. Bella, slanciata, elegante, Jasmine, dotata di “geni buoni”, è stata predestinata dalla madre a un grande avvenire, mentre Ginger, la sorella priva di qualità, diseredata dalla natura, è stata esiliata in un futuro di sfigata. Il racconto del loro ritrovarsi, dialoga nel film con il racconto dello svelamento dell’inganno in cui aveva vissuto, nel suo mondo ovattato, la sorella privilegiata. Ricoperta d’oro dal marito, aveva preferito non vedere il loschi traffici di lui e i suoi reiterati tradimenti.

Mentre l’inganno al passato si svela in un crescendo, un inganno al presente prende rapidamente forma. Un uomo ricco si innamora di Jasmine e vuole sposarla, restituendole la vita perduta. Lei nasconde il suo passato, lui lo scopre e la lascia. Nel film irrompe la verità finale sul matrimonio distrutto della protagonista. È stata lei a denunciare a FBI il marito, che voleva lasciarla per un’altra, provocando il suo arresto e il successivo suicidio in carcere.

Blue Jasmine è un film sul legame tra il lutto e il destino. La protagonista è una figura tragica: più buona che cattiva, più sconsiderata che distruttiva, finisce in un’infausta sorte perché riesce a essere padrona del suo destino solo in un’impietosa solitudine.

Perduta la madre biologica, è orfana anche della madre adottiva, che ha accolto i suoi «geni» -ignorandola come soggetto- e l’ha predestinata all’alienazione, proiettandole un futuro dorato e vacuo. L’inganno e l’abuso hanno sostituito il lutto, il vivere e elaborare la perdita.

Dell’inganno Jasmine è insieme vittima e parte attiva, lo subisce e lo perpetua. Il suo è il destino impersonale di un oggetto d’arredo nella favola in cui un altro l’ha collocato. Da questo destino lei può uscire solo rompendo l’incantesimo e rompendosi.

Il film è metafora di un mondo che a lungo ha inseguito le illusioni e le consolazioni truffaldine, alternando il fideismo al cinismo. Ha così smarrito la capacità di elaborare il dolore, accettando e promuovendo le necessarie trasformazioni, per paura di andare a pezzi. L’inganno (una forza abusante) è diventato la sua sostanza cementante, dando la falsa impressione di solidità. Per questo il desiderio di svelar l’inganno risuona come grave minaccia d’instabilità.

L’inganno -la menzogna che non si limita a nascondere le sue intenzioni, ma cerca di costruire la realtà a sua immagine e somiglianza – è la vera forza distruttiva dei nostri giorni. Un fattore identitario per una moltitudine di persone, che le assoggetta a un destino il cui l’unico sbocco reale (che interrompe l’anestesia dell’essere) non può essere che l’esplosione finale dell’energia di vita compressa. La parte dei non allineati (inclusi i diseredati come Ginger) è il terreno più fecondo per le nostre speranze di riscatto.

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