Nei tentativi di incipit di Isaac Davis, alter ego cinematografico del Woody Allen di Manhattan, la New York di fine anni Settanta è «una metafora della decadenza della cultura contemporanea», una «società desensibilizzata da droga, musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia»: l’elegante bianco e nero della sequenza e la gershwiniana Rhapsody In Blue non bastano ad addolcire un panorama eroso dall’interno. Crisi fiscale, dissesto amministrativo, disagio sociale e delinquenza costituiscono la progressione che spacca la mela in due. E non è chiaro se sia più marcio l’esterno o la polpa. Contemporaneamente, alla descrizione monocromatica del cineasta si contrappongono i...