Sei in macchina con tuo padre e alla radio passano un pezzo che ti ricorda qualcosa, qualcuno in realtà. Riconosci i riff, riconosci le voci, pensi di aver capito chi sono, tra te e te pronunci il nome del gruppo perché sei certa che sono loro, poi la melodia si fa un po’ più amara, qualcosa che riconduce all’essere adulti, qualcosa che ti fa pensare anche ai tuoi primi capelli bianchi, la spensieratezza messa un po’ in attesa dagli anni che passano inevitabilmente. Hai un dubbio, che però è un dubbio positivo, perché riconosci un cambiamento, e quando pronunci il nome della band e dici «per me sono i Blink», tiri un sospiro di sollievo quando alla fine la conduttrice radiofonica pronuncia il titolo della canzone e dice «erano i Blink182, che sono tornati con il loro nuovissimo album».

GIÀ NUOVISSIMO questo One more time, ed è così perché per chi li ha vissuti quando sono nati, questi Blink182 qui sono decisamente un gruppo maturo, certo la batteria di Travis si sente sempre, le chitarre punkettone di Mark e Tom, però «qualcosa è cambiato» come direbbe Jack Nicholson. Eppure, i brani sono usciti dai loro armadi, armadi sempre perfetti: fatti di abiti irriverenti, strafottenti, ragazzoni, ragazzoni maturi però, perché ormai si sta sulla soglia dei 50anni e da qualche parte la maturità deve uscire fuori e in questo album si sente in brani come Fell in love, One more time, Hurt e Childhood. «2023, who the fuck are we»? Remember where we were Young?» si chiedono Mark, Travis e Tom proprio in Childhood. In effetti questo One more time ci ricorda quando eravamo giovani, e ci fa riprendere anche quella spensieratezza messa in attesa. Però – va detto – lo hanno capito bene Tom, Mark e Travis che i capelli bianchi vanno fatti vedere, non bisogna nasconderli. Niente caricature, dunque, i Blink182 sono tornati ma hanno 50anni e n questo nuovo album, per fortuna , si sente.