Visioni

Black sweat records, suoni in direzione ostinata e contraria

Black sweat records, suoni in direzione ostinata e contrariaDettaglio di copertina dell’album «Folk Magic Band»,

Musica Storia di un’etichetta milanese che scova gemme nascoste tra jazz, art rock e colonne sonore. La scommessa fuori da logiche commerciali di ‘Dome’, il suo fondatore

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 17 ottobre 2023

Con una dizione che è stata così abusata da risultare quasi inoffensiva, e della quale bisognerebbe recuperare il senso, ci sono operatori della cultura che anche in questo primo trentennio del Terzo millennio sanno muoversi «in direzione ostinata e contraria» rispetto al flusso indistinto di input che la rete, dal punto di vista musicale, continua a far fluire. Sono figure che dosano una ad una le uscite, paragonabili a quei cercatori di pepite che nella solitudine dei fiumi setacciano l’acqua a caccia di preziose pagliuzze, che sennò svanirebbero nel flusso indistinto. La musica per certi versi ormai «è» la Rete: nelle pratiche di consumo, nei devices usati, nei modi e tempi contingentati della fruizione. Poi succede che spunti qualcuno che torna a raccontarti la bellezza della scoperta, l’ascolto attento del disco dall’inizio alla fine, il valore d’un frammento che non sapevi mancasse a un affresco che si credeva fatto e finito. E che cambia, letteralmente, la musica. È una scommessa e un azzardo, e il signore che con la sua etichetta scova gemme di psichedelia, di colonne sonore, di art rock, di jazz poco convenzionale, di elettronica, di folk, ha base a Milano, e un nome che gli addetti ai lavori conoscono, ma lui non rivela, per vezzo personale: per tutti è Il Dome: «Forse Domenico Davidini, forse Davide Domenichini». Mentre si scrivono queste righe, sono appena uscite due nuove produzioni: due «antiche novità» introvabili da decenni: I Tarantolati, la leggendaria registrazione «trance» di Antonio Infantino dal vivo al Folkstudio di Roma nel 1975 (con due inediti), e, sempre dal vivo al Folkstudio, ma dell’anno successivo, l’altrettanto leggendaria Folk Magic Band, echi folklorici, free jazz, una carica ritmica squassante con giovanissimi jazzisti che arrivavano dagli Spirale (altro recupero dell’etichetta: jazz rock di prima scelta: il gruppo accompagnò poi Mario Schiano), a partire da Giampaolo Ascolese, in formazione allargata. Il Dome nel 2012, per suo gusto personale, ha dato vita alla Black Sweat Records. A sentire quel nome il «sudore nero» verrebbe da pensare a un’etichetta che pubblica ultrafunk e dintorni, invece, racconta, «Il nome l’ho scelto per via del blues, mia grande passione, ho fatto qualche dj set con questo nome e poi l’ho tenuto per l’etichetta. Ho scoperto poi che era anche il titolo di un disco di Prince!». Oggi Black Sweat Records ha un catalogo notevole, consultabile sul sito, che si presenta così: «una produzione fatta di incastri e frammenti e che arriva da tempo diversi, con suoni strani ed etnici, calde ondate di elettronica; tutto si tiene assieme per un gusto unico che unisce passione e curiosità. La musica parla per sé stessa, e attraverso sé stessa».
Le sezioni sono intitolate a ambient, elettronica e minimalismo, afro e ethnic jazz, library music e exotica, organic grooves, psichedelia, suono presente.

Come si fa a tenere in piedi un’etichetta così, senza esplicite attinenze «commerciali», e in un momento in cui la musica è diventata liquida, oggetto di scarsissima attenzione?

Diciamo che come spesso accade Black Sweat Records l’ho fatta nascere come un gioco senza aspettative, e cerco di vivermela in modo abbastanza semplice, produco la musica che mi piace e cerco di fare i dischi al meglio delle mie possibilità. Se poi la gente compra i dischi continuerò a farli, altrimenti smetterò e mi metterò a fare altro. Forse l’unica cosa che si può dire è che ora tutto quanto può essere ascoltato in digitale con un tornaconto per i musicisti nullo o quasi, e questo riduce le risorse sia per le etichette, sia per i musicisti stessi. Ne deriva che la qualità dei progetti continuerà a ridursi, la musica si continuerà a fare ma probabilmente si privilegeranno progetti con pochi elementi e con pochi costi di produzione. Sulla questione della scarsa concentrazione credo sia un argomento che va al di là della musica: il fatto che molte persone non riescano a focalizzare la propria mente è un impoverimento della vita e dell’esperienza personale.

Black Sweat Records ha spesso recuperato gemme musicali, soprattutto degli anni ’70, ma non solo, che nessuno era riuscito a scovare: Yuri Camisasca, il leggendario Telaio Magnetico ideato da Franco Battiato, I.P. Son Group, Futuro Antico. Quali strategie per le cose da riscoprire e dimenticate, c’è una sorta di «archivio segreto»?

Non c’è nessun archivio segreto, sono sempre alla ricerca di nuova musica, al di là del fatto che possa poi lavorarci con l’etichetta, e sono sempre curioso. La cosa splendida della musica è che è infinita, puoi sempre trovare qualcosa di nuovo che ti apre a nuove prospettive sul suono. Quando ho iniziato era molto più semplice perché non c’era la moda delle ristampe, si trovavano dischi di qualità che aveva molto senso ristampare, ora è stato fatto praticamente tutto. Però succede che entro in contatto con musicisti che hanno un sacco di vecchie cassette e registrazioni varie, a quel punto studio l’archivio e cerco di capire se qualcosa può essere pubblicato e in che modo, un lavoro molto lungo ma anche molto bello. Per quanto riguarda gli ambienti a volte si trovano persone squisite e appassionate che capiscono la situazione e si riesce a fare un bel progetto assieme, altre volte tutto diventa molto difficile se non impossibile.

Dando un’occhiata al catalogo, Black Sweat Records sembra muoversi con sicurezza anche nel campo del jazz d’avanguardia, storico e contemporaneo. Ad esempio con la ristampa di Conversations di Archie Shepp con Kahil El’Zabar’s Ritual Trio. Una passione specifica?

Devo dire che il jazz mi piace molto, ma soprattutto in quelle estetiche free-spiritual che, se ci fate caso, negli ultimi anni sono state oggetto di riscoperta da parte di giovani musicisti: penso a John e Alice Coltrane, a Sun Ra, a certe cose di Miles Davis, a Pharoah Sanders. Devo dire che soprattutto Sun Ra mi ha molto influenzato musicalmente e anche filosoficamente, c’è stato un periodo che i suoi dischi giravano ininterrottamente sul mio giradischi e il mio lettore.

Invece come avviene la scelta di un musicista o gruppo contemporaneo adatto all’etichetta, nel mare magnum di proposte?

È un po’ una storia a parte, a volte li trovo io, a volte sono suggerimenti di amici, a volte collaboro con altre etichette. Mi è successo con l’etichetta svedese Sing A Song Fighter con cui ho già realizzato tre co-produzioni, e sono tutte loro proposte. La scelta mi è abbastanza semplice, di solito mi bastano pochi ascolti per capire, se mi incaponisco a riascoltare è perché non fa per me. Comunque, è sempre eccitante ascoltare un disco per la prima volta.

Di quali pubblicazioni va particolarmente fiero?

Sicuramente di Persona, un progetto brasiliano di Roberto Campadello del ’73, nel quale si respira la psichedelia e il tropicalismo, la riscoperta della registrazione di Don Cherry Om Shanti Om agli studi Rai nel ‘76, la magnifica colonna sonora di Problemi d’oggi di Piero Umiliani (con lo pseudonimo di M. Zalla), Langendorf United, poi i dischi prodotti e mixati completamente da me, un lavoro decisamente anti economico: Maistah Aphrica, Al Doum and the Fayds, Nexus, Addict Ameba.

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