Visioni

«Black Mirror 6», dietro lo specchio nero fa capolino l’umano

«Black Mirror 6», dietro lo specchio nero fa capolino l’umanoUna scena dalla sesta stagione di «Black Mirror»

Streaming La nuova stagione su Netflix, la piattaforma abbraccia la propria contestazione tra privacy e sensazionalismo. La realtà ha superato la fantasia nell’integrazione di vita e tecnologia

Pubblicato più di un anno faEdizione del 21 giugno 2023

Aperitivi su Zoom, certificazioni sanitarie digitali per accedere ai servizi, applicazioni per tracciare il contagio: difficile pensare a un’esperienza più fantascientifica e persino distopica di quella che abbiamo vissuto nei «giorni caldi» della pandemia. Questo scacco della realtà sulla fantasia è il punto di partenza della sesta stagione di Black Mirror, che torna su Netflix dopo quattro anni di pausa. In una fase in cui la tecnologia si è integrata a livelli impensabili nella vita umana, in cui l’intelligenza artificiale minaccia di sostituire gli sceneggiatori che per questo sono in sciopero da un mese e mezzo, sarebbe forse fin troppo facile – e per l’utente medio di Netflix anche un po’ «boomer» – mostrare gli effetti nefasti di questo rapporto. La spinta immaginativa doveva quindi trovare altre strade.

CERTO, Charlie Brooker avrebbe potuto scegliere un altro punto di vista, calandosi nei panni del macchinico e del cyborg, esplorando i dilemmi della vita non organica. È la direzione in cui vanno gli studi del post-umanesimo ormai da diversi anni, ma non è quella del creatore e sceneggiatore della serie che continua a far leva su emozioni e storie umane, troppo umane. La tecnologia è solo un nostro specchio, al punto da aver perso d’interesse? O il paradigma antropocentrico dello storytelling è troppo difficile da superare?
Fatto sta che i primi due episodi – dei sei in totale, come sempre auto conclusivi -, Joan Is Awful e Loch Henry, sono un cinico affondo sulle modalità della rappresentazione odierna, prendendo di mira proprio lei, Netflix, attraverso il doppio narrativo Streamberry. L’azienda ha l’intelligenza, questo le va riconosciuto, di tenersi alla larga da censura e permalosità. O forse è solo un’altra faccia di un capitalismo che assorbe qualsiasi cosa, persino la propria contestazione, pur di fatturare?
Joan ha una vita «regolare», lavora in un’azienda e ha un fidanzato. Improvvisamente tutto finisce in una serie che racconta la sua vita in tempo quasi reale, grazie ad un personaggio creato con la computer grafica, svelando sullo schermo gli immancabili altarini al resto del mondo. Impossibile fare causa, in quei minuscoli «termini e condizioni» su cui clicchiamo senza approfondire, tutti i diritti alla propria immagine sono stati ceduti. La privacy è un ricordo. Rimarrà solo la strada della ribellione luddista per «uscire» dalla finzione.

In Loch Henry è il prodotto Netflix true crime ad essere preso di mira. Una coppia di giovani filmmakers vuole realizzare un lavoro sulla conservazione della fauna ma cambia rapidamente idea – perché il pianeta da salvaguardare è in fondo un’idea come un’altra, da valutare con la bilancia del sensazionalismo. Si metteranno invece sulle tracce di un fatto di cronaca nera avvenuto decenni prima nel paese natale di lui, quest’ultimo verrà però travolto e annientato dalla sua stessa hybris, con il sadico cinismo di Black Mirror dei vecchi tempi.

DAL TERZO episodio in poi si apre un’altra fase, ambientata nel passato, come se Charlie Brooker avesse terminato le cose da dire sull’oggi. Beyond the Sea potrebbe essere un film di fantascienza autonomo – complice anche la durata di 80 minuti – ambientato durante gli anni delle grandi missioni nello spazio. Il tema di fondo è quello della dissociazione mente-corpo, che viene esplorato nelle sue paradossali conseguenze. Da 2001 Odissea nello spazio a Blade Runner, grandi riferimenti sono chiamati a convegno per un episodio caratterizzato da alti livelli di scrittura, che non si riscontrano purtroppo negli ultimi due, schiacciati su una narrazione poco stimolante anche lì dove i richiami politici alle destre e al razzismo di oggi sono più evidenti.
Tra alti e bassi, questa sesta stagione ha confermato Black Mirror per quello che è: un intelligente e curato prodotto seriale che guarda fortemente al cinema, radicato nel decennio scorso. Infatti, nonostante la morale feroce, non si troverà qui la violenza anestetizzante e il ritmo forsennato di prodotti come Squid Game. Se quella è l’avanguardia che riesce a parlare dell’oggi, Black Mirror ha scelto dignitosamente di fare un passo indietro, perché il rischio di perdersi nel multiverso, in fondo, è anche quello di assolverci dalle nostre responsabilità.

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