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«Black is Beltza», suoni e immagini della rivoluzione

«Black is Beltza», suoni e immagini della rivoluzione

Fermin Muguruza Il musicista basco autore del progetto da cui sono nati un fumetto, un disco e un film d’animazione presentato in questi giorni al Noir in Festival

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 9 dicembre 2018

Tutto comincia da una vecchia foto. Nel 1965 sulla Quinta Strada di New York sfilano le tipiche maschere giganti della Festa di San Fermin di Pamplona. Mancano però i due Giganti afroamerican perché le autorità statunitensi considerano inaccettabile la loro presenza. Da pochi mesi è stato assassinato Malcom X e c’è stata la Marcia di Selma; i ghetti neri sono in fiamme. Da questo fatto reale parte Black is Beltza, un progetto che ha prodotto un fumetto, mostre, un album musicale e infine un film d’animazione in programma in questi giorni al Noir in Festival.

«BLACK IS BELTZA» ( Beltza significa nero in euskera, la lingua basca) è un racconto che mescola azione, spionaggio, musica, sesso e rivoluzione. Dopo l’episodio razzista il giovane Manex Unanue decide di fermarsi negli Stati uniti e qui comincia una serie di avventure a mozzafiato tra Black Panthers, servizi segreti russi, americani e israeliani, rivoluzionari cubani (anche Che Guevara), hippies. Manex viaggia tra Cuba, Messico California, Canada, Algeria e Spagna disegnando una vera e propria mappa delle connessioni tra i movimenti rivoluzionari del periodo.

L’ideatore del progetto è il musicista basco Fermin Muguruza (Irun 1963), un personaggio che merita di essere conosciuto. Fondatore della band ska-punk Kortatu nel 1983, Muguruza è stato un pioniere nel suo Paese nell’importare questo genere dall’Inghilterra. Testi militanti antifascisti e antimperialisti su ritmi da ballare. Il loro pezzo Sarri, Sarri diventa un inno generazionale. Nei Paesi Baschi è l’era del terrorismo dell’Eta. Muguruza si espone politicamente denunciando nelle sue canzoni la repressione poliziesca e si presenta anche alle elezioni con la lista indipendentista Euskal Herritarrok. Per questo subisce da parte dell’estrema destra minacce di morte e nel Marzo del 2001 quattro terroristi neofascisti cercano di mettere una bomba ad un suo concerto, per fortuna senza successo.

Il governo spagnolo lo mette all’indice e con pressioni censorie ottiene il divieto di esibirsi nel Paese; Manu Chao deve interrompere un tour già programmato con lui. Per anni la sua presenza nei concerti è proibita e il Festival reggae Rototom Sunsplash di Benicassim è tra i pochi ad avere il coraggio di invitarlo nel 2013.

MUGURUZA nel tempo ha ampliato il suo vocabolario a reggae, dub, raggamuffin, hip hop, patchanka fino a collaborare con una Jazz Band di New Orleans. Scrive e canta anche in euskera, lingua che era stata messa fuorilegge dal regime fascista di Franco e riconosciuta solo nel 1978 con il ritorno della democrazia.
Finalmente l’epoca del terrore e della violenza finisce, nel 2011 l’Eta proclama la cessazione delle attività armate e si scioglie definitivamente nel 2018: la società basca può cominciare a riflettere sulla sua storia tragica.

Il toccante romanzo Patria dello scrittore Fernando Aramburu racconta con spietata sincerità quegli anni ma anche il fumetto prende parte alla rielaborazione collettiva: Alfonso Zapico con Los puentes de Moscù (Astiberri 2018) mette in vignette l’incontro tra Muguruza e il socialista Eduardo Madina, sopravissuto ad un attentato dell’Eta. È un dialogo fra due persone che non avrebbero potuto solo pochi anni prima nemmeno parlarsi e farsi fotografare insieme. Nel 2016 Muguruza, insieme con lo sceneggiatore Harkaitz Cano e il disegnatore Dr. Alderete realizza il fumetto Black is Beltza Bang Ediciones), ristampato più volte e pubblicato in cinque Paesi.

IL VOLUME si pregia delle belle tavole del disegnatore argentino, attualmente residente in Messico, che, grazie alla bicromia e all’uso dei retini, restituiscono un atmosfera vintage pur essendo di taglio schiettamente moderno. Nel fumetto la musica ha un ruolo fondamentale. Vediamo James Brown, Otis Redding, La Factory di Warhol, il Festival di Monterey. Alla pubblicazione seguono una serie di mostre, occasione per iniziative di approfondimento sui temi del razzismo, della multiculturalità, della censura. L’esposizione alla Arts Santa Monica di Barcellona ha fornito l’opportunità di registrare negli spazi della galleria una serie di brani durante le tre settimane di residenza. È nato così Black Is Beltza ASM Sessions (Kasba Music 2016) a cui hanno partecipato molti musicisti. Una sorta di laboratorio sonoro più che un disco direttamente ispirato alle scene del fumetto. Per Muguruzu questo è un progetto multidisciplinare nel quale fare convergere non solo idee, opinioni e suggestioni ma una occasione di nuove creazioni e incroci tra codici, linguaggi, persone.

IL DISCO ben rappresenta il mondo sonoro della scena combat-reggae iberica e i suoi legami internazionali. Non una scena chiusa e autoreferenziale ma una comunità aperta che pratica l’internazionalismo. Infine si arriva al film. Muguruza, che lo firma come regista, dichiara di essere stato un avido spettatore di film d’animazione «adulti»come Heavy Metal, Akira e Valzer con Bashir. In particolare di quest’ultimo riprende il carattere di prodotto intrattenimento ma con contenuti didattici. Tra gli attori che hanno prestato la loro voce figurano Rossy de Palma (icona dei film di Pedro Almodovar) e Willy Toledo. La colonna sonora del film è disponibile per ora solo in formato digitale ed è stata realizzata da Muguruza con Raül Refree.

PER REGISTRARE le musiche adatte alle atmosfere della pellicola i due hanno convocato uno stuolo di musicisti da Manu Chao ai messicani Sonido Gallo Negro (nei quali milita anche il disegnatore del fumetto Jorge Alderete), esponenti della nuova cumbia. Inevitabile l’intento didascalico viste le premesse dichiarate perciò troviamo ricreate le musiche dei tardi sessanta mescolate però a fughe in avanti: soul, rock (nello stile Clash e Velvet Underground), la ballata Seeds of Freedom di Manu Chao, spiritual, latin, dub, un solo del trombettista di New Orleans Ashlin Parker, raï, Bocanegra dei Sonido Gallo Negro. Non mancano cover di He Was Really Sayin’ Somethin’o Respect in un vertiginoso cortocircuito spazio-temporale. L’avventura continua. Chissà quale sarà il prossimo passo.

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