Nei prossimi anni dall’Africa non arriveranno solo nuovi approvvigionamenti di metano e gas, ma anche olio di ricino su scala industriale, ottenuto dalla spremitura dell’omonima pianta. Questo particolare olio vegetale, che nel nostro Paese conosciamo soprattutto per essere stato strumento di tortura da parte del regime fascista, sarà invece la materia prima principale per i biocarburanti prodotti dal cane a sei zampe. Negli scorsi mesi l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha chiuso una serie di accordi con alcuni Paesi africani – Kenya, Angola, Repubblica del Congo e Benin – per svilupparne la coltivazione in terreni marginali o abbandonati, da trattare poi nelle bioraffinerie di Porto Marghera, attiva dal 2014, e Gela, attiva dal 2019. In quest’ultimo impianto, che Eni definisce la «più innovativa bioraffineria d’Europa», da tre anni si utilizza olio di palma proveniente dall’Indonesia. Considerato per anni uno dei simboli dello sfruttamento ambientale, tanto che gli alimenti più diffusi nei supermercati utilizzano la dicitura «senza olio di palma» come un vanto, a livello industriale è stato finora sfruttato dal cane a sei zampe. Ad aprile dello scorso anno il Parlamento italiano, recependo una direttiva europea, ha stabilito il divieto di miscelazione dell’olio di palma (e dell’olio di soia) al combustibile diesel a partire dall’1 gennaio 2023. Ecco perché da più di un anno Eni sta lavorando alacremente per la sua sostituzione con l’olio di ricino.

MA NON SI POTREBBERO PRIVILEGIARE gli oli vegetali esausti prodotti nel nostro Paese, in una filiera che sia corta e di reale economia circolare, come pure l’azienda dichiara di fare? «L’olio vegetale esausto in Italia è pochissimo», spiega Ennio Fano, presidente del consorzio RenOils che, insieme al Conoe, si occupa della raccolta degli oli esausti in Italia. Secondo gli ultimi dati, i due consorzi insieme raccolgono 80 mila tonnellate annue. «Solo l’Eni ne avrebbe bisogno, per mischiarlo al diesel e ottenere i biocarburanti, un milione di tonnellate nel 2022. Da poco l’azienda ci ha comunicato che dal 2025 questo bisogno raddoppierà, e dunque per Eni saranno necessarie due milioni di tonnellate, e solo per un’industria». Un’ampia fetta degli oli necessari per creare i biocarburanti, dunque, sarà importata. Soprattutto sarà destinata al sito siciliano. Dall’Africa l’olio di ricino sarà trasportato via mare attraverso i flexibag, per approdare ai porti di Palermo e Catania. Da qui, tramite camion, l’olio di ricino percorrerà altri 200 chilometri (da Palermo) e 100 chilometri (da Catania) per giungere a Gela, in quello che appare un sistema vertiginoso di trasporto. All’ultima assemblea degli azionisti Eni ha ammesso che «i calcoli emissivi associati sono in fase di calcolo». In ogni caso l’obiettivo dell’azienda è quello di perseguire, anche attraverso l’uso esteso dei biocarburanti, la totale decarbonizzazione dei prodotti e dei processi entro il 2050.

«I biocarburanti di alta qualità che qui produciamo e in particolare i biocarburanti avanzati, prodotti da materie prime che non competono direttamente con colture alimentari e foraggere, come rifiuti e residui agricoli, sono fondamentali per ridurre le emissioni di gas serra nel settore dei trasporti – scrive Eni – Anche le bioraffinerie sono il risultato del nostro impegno costante nella ricerca e nell’innovazione tecnologica. Oggi abbiamo una capacità di lavorazione totale di 1,1 milioni di tonnellate all’anno e nel Piano Strategico 2021-2024 abbiamo fissato un obiettivo: raddoppiare la capacità totale entro il 2024 e arrivare a 5/6 milioni di tonnellate entro il 2050». Non è chiaro se in questi calcoli rientra anche la raffineria di Stagno, a Livorno, attualmente in attesa di riconversione. Al tavolo ministeriale del 9 marzo, in cui erano presenti gli enti locali e i sindacati, Eni ha confermato che «la prospettiva dichiarata è quella della riconversione a bioraffineria finalizzata alla produzione di biocarburante idrogenato». Sollecitata dagli azionisti a maggio, però, l’azienda si limita a dichiarare che «a Livorno sono in corso di valutazione alcuni progetti coerenti con la strategia di decarbonizzazione, la bio-raffineria è uno di questi».

INTANTO, IN ASSENZA DI UN PIANO del governo sull’automotive, i ministeri si contendono le posizioni sui biocarburanti. Da una parte ci sono la Transizione Ecologica e lo Sviluppo Economico, dall’altra le Infrastrutture e i Trasporti. Sia il ministro Roberto Cingolani che il ministro Giancarlo Giorgetti a più riprese si sono espressi a favore dei biocarburanti, indicandoli come adatti alla transizione del settore. Anzi, il governo sta premendo sull’Unione europea affinché ammetta anche i biocarburanti nel principio della neutralità tecnologica. Dall’altra parte il recente report «Decarbonizzare i trasporti», effettuato dal ministero retto da Enrico Giovannini, boccia un utilizzo esteso dei biocarburanti. «Le limitazioni relative alla disponibilità di materie prime sostenibili e ai costi, affiancate alla disponibilità dell’elettrificazione a costi competitivi per le auto, suggeriscono che anche questo tipo di biocombustibili sia utilizzato con priorità in settori in cui non è fattibile un’analoga transizione all’elettrificazione diretta, come trasporto marittimo e aviazione – si legge nel report – Quest’assunzione resta valida nonostante i requisiti previsti dalla Renewable Energy Directive ne suggeriscano un uso parziale anche per il trasporto stradale. Tale opzione può essere infatti rilevante solo come soluzione di transizione di breve termine, data la presenza di capacità produttiva oggi disponibile in Italia in alcune bioraffinerie, grazie a investimenti effettuati in anni recenti».

TRA GLI AUTORI DEL REPORT c’è Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr. A lui abbiamo chiesto un commento alla luce delle evidenti divergenze all’interno del governo. «I biocombustibili hanno senso al massimo con una filiera corta. Va chiarito poi che i biocarburanti liquidi non migliorano la qualità dell’aria – afferma Armaroli – Un altro problema è quello delle quantità: noi abbiamo incontrato le associazioni di categoria e tutte sono concordi sul fatto che i biocarburanti non potranno mai coprire i 40 milioni di veicoli che circolano in Italia. Possono essere funzionali solo dove le alternative sono più costose o richiedono troppo tempo per essere realizzate, dunque esclusivamente navi e aerei». Una tesi opposta a quella di Eni. Sollecitata dalle domande degli azionisti poco prima dell’assemblea dell’11 maggio, l’azienda sostiene che «i biocarburanti sono destinati a sostituire completamente, assieme alle altre soluzioni di mobilità sostenibile, i carburanti ottenuti dalla raffinazione del petrolio. Il loro costo di produzione è influenzato dagli scenari, oggi fortemente variabili, dei prodotti e dal costo delle materie prime; attualmente esso è superiore di circa 2,5/3 volte quello dei carburanti tradizionali».