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Bioblitz nelle sughere pontine

Bioblitz nelle sughere pontineIl bosco delle sugherete a Pomezia

Reportage Il bosco delle sugherete di Pomezia è sopravvissuto alla bonifica pontina voluta dal Duce e oggi è un serbatoio di biodiversità. La Regione Lazio organizza BioBlitz per educare i cittadini e in particolare i bambini all’ambiente

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 10 maggio 2018

«Questo bosco di sughere ha sempre fatto parte della mia vita. Lo vedo anche da casa. Quando, decenni fa, cominciammo a capire che la sua esistenza era minacciata da mire edilizie oltre che dagli incendi, qualcuno ci suggerì di costituire un comitato. Da allora non abbiamo mai smesso di mobilitarci, anche in pochissimi. Insistevamo, presso le amministrazioni, al livello locale, regionale, provinciale. Fate il parco era il nostro ritornello. Numerose le delusioni: mettevano la promessa nel programma elettorale, poi disattendevano. Finalmente nel 2016 tutti gli astri si sono allineati ed è nata la riserva naturale regionale Sughereta di Pomezia», ricorda Odilla Locatelli, una pometina il cui albero genealogico riassume la composizione demografica di un’area peculiare.

LA FAMIGLIA FRIULANA DI SUA madre e quella comasca del padre erano emigrate in Francia, ma negli anni ’30 rifecero i bagagli per diventare coloni nella madrepatria: in seguito alla legge per la bonifica della palude pontina, furono infatti chiamati a insediarsi nell’area limitrofa di Pomezia, insieme – fra gli altri – a famiglie della Romagna e a trentini provenienti dalla Bosnia. «Il meno che si possa dire è che non c’era un senso di radicamento in questa comunità. E le difficoltà non furono poche. Tutte le famiglie ebbero i loro morti, quando ci fu una recrudescenza della malaria». Per non parlare delle distruzioni nella seconda guerra mondiale.

Il bosco delle sugherete, 322 ettari, è uno degli ultimi esempi del paesaggio esistente prima della bonifica ed è anche il polmone verde della città, «il posto più bello di Pomezia» dicono sorridendo due uomini che fannjo jogging sui sentieri; nella biodiversità lasciata in pace, «funghi e asparagi crescono numerosi», spiega un raccoglitore che precisa di avere il patentino.

COME TANTI ALBERI MEDITERRANEI di una certa età, le grandi sughere stupiscono per le forme umane e animali che disegnano, allungando rami aggrovigliati o vantando aspirazioni geometriche. Quercus suber si alterna ad altre piante di zona: alloro, leccio, corbezzolo. A lungo fu usata per il sughero; ma la gran parte delle sugherete selvatiche fu via via sostituita dall’agricoltura e dai pascoli. Una radura che le pecore non frequentano più da quando c’è la riserva, illustra bene come la natura si stia riprendendo lo spazio, spiega Alessandra Pacini, naturalista dell’Ente parco regionale dei Castelli romani, al quale la sughereta è affidata (oltre che al Comune): «A poco a poco tutta l’area si trasformerà in bosco mediterraneo. Dapprima le aree prative come questa sono colonizzate dai roveti, mantelli di specie spinose… è una fase importante della successione vegetazionale. Cuscinetti come quelli ospitano e proteggono semi di piante arboree facendo da incubatrici; all’interno si formano gli alberelli, protetti dal morso dei predatori erbivori».

PER TERRA, ACCANTO ALLE ORCHIDEE SPONTANEE, un’incongrua cartuccia rossa, scolorita: «Sì, è vecchia ovviamente, qui non si caccia più» annuiscono i guardaparco. Le sughere resistono abbastanza a un’altra piaga dei boschi: gli incendi. La loro corteccia, infatti, è ignifuga. Ma sarebbe possibile rianimare qualche attività economica? E’ previsto un piano per la conservazione, gestione, fruizione e sviluppo della sughereta, mettendo insieme i vari attori interessati. «Ci sono potenzialità inespresse, come spesso accade. Ma il primo obiettivo di un parco è la tutela delle specie vegetali e animali, il capitale naturale, un bene immateriale» dice Maurilio Cipparone, ambientalista, comunicatore ed ex dirigente di diversi enti parco.

SERBATOIO DI BIODIVERSITÀ A DUE PASSI DAL CENTRO abitato, la sughereta si presta all’educazione ambientale, ad attività per il benessere cittadino, alla tutela del paesaggio e ai BioBlitz: un’iniziativa di monitoraggio ambientale da parte di cittadini, famiglie, studenti, appassionati ma con l’accompagnamento di ricercatori e associazioni, a fini di ricerca, educazione e anche svago. Nasce negli Stati uniti nel 1996 a cura del National Geographic e del National Park Service. Da allora ha fatto molta strada anzi molti sentieri: migliaia di partecipanti si sono trasformati in naturalisti ed esploratori di parchi e aree protette, affiancando sul campo scienziati e biologi. In Italia è sbarcato nel 2012. La Regione Lazio, direzione ambiente e sistemi naturali, ha organizzato diversi BioBlitz, il più recente proprio nella riserva della sughereta, insieme al Comitato nazionale BioBlitz Italia e al Cursa (Consorzio universitario per la ricerca socioeconomica e l’ambiente).

NELL’INTERAZIONE CON I RICERCATORI, ci si accorge di quante cose sfuggono allo sguardo magari ecologista ma non esperto. Fra gli insetti più strani e gli uccelli da individuare attraverso i loro trilli, si scoprono curiosità: e chi sapeva che il pratico velcro fu inventato all’ingegnere svizzero George de Mestral quando, tornato dalla campagna con gli abiti – e il pelo del cane – pieni di appiccicosi fiori e steli, si mise a studiarne gli uncini? E quella sughera morta e rimasta in piedi, come mai non viene tagliata?, chiediamo agli entomologi. Per carità, spiega spiega l’entomologo Fabio Collepardo Coccia: «Il legno morto è utilissimo per ospitare un altro tipo di comunità faunistica, saproxilica, sempre più rara nei boschi da taglio», dove gli alberi non fanno in tempo a invecchiare e morire.

IL BIOBLITZ È UN MODO INFORMALE E DIVERTENTE di scoprire la natura, così da concretizzare il motto: «Conoscere per apprezzare, apprezzare per difendere». «In queste visite miste succede che un bambino si accorga che un sasso cammina e allora ecco, ci si accorge che ci sono anche tartarughe. Bisogna attirare alla biodiversità, con effetti a volte insperati», continua l’entomologo. Per esempio, nella riserva del Litorale romano, un po’ di tempo fa, l’evento annunciato della schiusa di 100 uova deposte da una caretta caretta ha creato quasi un indotto economico, perché c’era gente in osservazione giorno e notte, e un chiosco si era messo a disposizione. Magari poi le uova non si schiudono, per un problema di temperatura. Ma la passione innescata, rimane. Si spera.

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