Bio: ce lo chiede l’Europa
Ce lo chiede l’Europa è stato il tormentone dell’era austerity, un tormentone reiterato dagli esecutori delle scelte rigoriste aiutando l’insorgere di quei sentimenti sovranisti che avvelenano il dibattito pubblico. Da […]
Ce lo chiede l’Europa è stato il tormentone dell’era austerity, un tormentone reiterato dagli esecutori delle scelte rigoriste aiutando l’insorgere di quei sentimenti sovranisti che avvelenano il dibattito pubblico. Da […]
Ce lo chiede l’Europa è stato il tormentone dell’era austerity, un tormentone reiterato dagli esecutori delle scelte rigoriste aiutando l’insorgere di quei sentimenti sovranisti che avvelenano il dibattito pubblico. Da quando l’Unione Europea ha perso le sembianze di matrigna per divenire più materna e carezzevole, di quell’espressione si è persa traccia.
Eppure l’Europa nelle sue politiche ricostruttive e prospettiche continua a chiedere nel dare. Non solo in relazione ai fondi del Next Generation Eu, ma anche, ad esempio, nel quadro delle strategie «Dal produttore al Consumatore» (Farm to Fork o F2F, in inglese) o «Biodiversità 2030». Lo stesso dicasi sull’appena pubblicato Piano di Azione europeo per lo sviluppo della produzione biologica. L’Ue chiede politiche coerenti (e concorrenti sul fronte nazionale) nel perseguimento degli scopi strategici.
Nel F2F, per esempio, l’Europa chiede ai paesi membri di concorrere all’obiettivo di ridurre del 50% i pesticidi nelle coltivazioni e gli antibiotici negli allevamenti o di limitare il ricorso ai fertilizzanti di sintesi del 20%, così come di innalzare la superficie europea coltivata a bio al 25%. Il tutto entro il 2030, ergo richiedendo una forte accelerazione sulle politiche di incentivazione e contrasto, sull’adozione e scalabilità di approcci agroecologici, sugli investimenti sul sistema di conoscenza (informazione, educazione, formazione e assistenza tecnica).
Su questi fronti, l’Italia fa orecchie da mercante. Prona nel subire indicazioni coercitive nella stagione dei governi tecnici e di larghe intese quando si dovevano strizzare i conti correnti, fischietta ora nella stagione dei governi para-tecnici e di larghe intese quando c’è da aprire conti dedicati per la realizzazione di interventi di sviluppo e sostenibilità.
Lo sottolineano, finanche con eccessivo garbo, le organizzazioni di rappresentanza del biologico (Aiab, Assobio, Associazione per l’Agricoltura Biodinamica e FederBio) in una lettera al Presidente Draghi e al Ministro Patuanelli, neo-responsabile del dossier agricolo, sottolineando come una attesa svolta che traguardi la transizione agroecologica del sistema alimentare sia completamente ignorata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che mai cita il biologico, ma nemmeno le Strategie europee F2F e sulla Biodiversità, ergo palesando uno sganciamento autoreferenziale da utili quadri di riferimento.
Giusto una settimana fa il Commissario Europeo all’Agricoltura, il polacco Wojciechowski, ha illustrato gli obiettivi del piano di azione volto a dare ulteriore impulso al settore biologico, un settore visto come sistema di produzione e consumo capace di assicurare in maniera coniugata tutela ambientale, salvaguardia della salute e prosperità economica.
Il piano di azione punta su tre assi: incentivare la domanda di alimenti biologici (puntando su promozione, acquisti pubblici verdi, diffusione del bio nelle mense pubbliche, rafforzata difesa dalle frodi commerciali); stimolo all’ulteriore conversione al biologico (scommettendo su investimenti, sistema della conoscenza, integrazione e innovazione di filiera, circuiti corti e locali di produzione e consumo); aumento della sostenibilità dei sistemi biologici (per ridurre ulteriormente la sua impronta ambientale e climatica, massimizzare le valenze ecosistemiche e la tutela della biodiversità, sostenendo al contempo le rese e il benessere animale).
Tra le altre cose, in questa partita, l’Ue ha deciso di investire in progetti sul biologico il 30% delle risorse dei programmi di ricerca destinati al settore agroalimentare e dello sviluppo rurale, aumentandone significativamente la scala di intervento.
Sull’insieme di questi obiettivi e interventi, il piano di azione europeo chiede ai Paesi membri di fare la propria parte: forti anche di un principio di leva finanziaria, il movimento bio italiano sollecita che il PNRR apra un corposo capitolo sulla transizione agroecologica sostenendo il biologico nel quadro delle Missioni dedicate alla Rivoluzione Verde (sic), digitalizzazione e innovazione, fiscalità e ricerca.
Su quest’ultimo asse si potrebbe fare molto, a partire da bandi ministeriali sulla ricerca per l’agricoltura biologica che colgano le istanze del settore, valorizzino le competenze e non sollevino sconcerto e frustrazione della comunità scientifica, come rilevato da un’indagine di prossima uscita.
Ce lo chiede l’Europa: rispondere non sarebbe solo cortesia, ma anche lungimiranza.
* Segretario generale Firab (Fondazione italiana per la ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica)
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