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Biennale Helsinki, nuove direzioni

Biennale Helsinki, nuove direzioniPh. Manuela De Leonardis

Arte II edizione della Biennale di Helsinki (fino al 17 settembre). Organizzata dalla municipalità di Helsinki e prodotta dall’HAM Museum (Museo di Arte di Helsinki): al centro l’impatto della tecnologia sull’ecosistema, i danni ambientali e i conflitti socio-politici in un corto circuito di segnali visibili e invisibili. Con una intervista all'artista Lotta Petronella

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023

L’impatto della tecnologia sull’ecosistema, i danni ambientali e i conflitti socio-politici in un corto circuito di segnali visibili e invisibili è il tema centrale di New directions may emerge (il titolo è una citazione da The Mushroom at the End of the World dell’antropologa americana Anna Lowenhaupt Tsing), II edizione della Biennale di Helsinki (fino al 17 settembre). Organizzata dalla municipalità di Helsinki e prodotta dall’HAM Museum (Museo di Arte di Helsinki), questa manifestazione artistica internazionale è curata da Joasia Krysa in collaborazione con il team di esperti di Museum of Impossibile Forms, TBA21-Academy, Critical Environmental Data, VICCA@Aalto Arts e Artificial Intelligence (AI) Entity.

«Abbiamo bisogno di nuove prospettive e sguardi sul mondo, includendo anche gli animali, le piante e le altre entità che ci circondano», ha affermato Arja Miller, direttrice di HAM e della Biennale di Helsinki nel presentare i lavori multidisciplinari (in parte virtuali visibili sul sito https://helsinkibiennaali.fi/) molti dei quali commissionati dalla Biennale stessa di 29 artiste e artisti internazionali invitati ad interpretare una tematica dal risvolto sia locale che universale. Tra loro Matti Aikio, Remedies (Sasha Huber e Petri Saarikko), Bita Razavi, Diana Policarpo, Tuula Närhinen, il collettivo Keiken (Tanya Cruz, Hana Omori e Isabel Ramos), Sepideh Rahaa, Asunción Molinos Gordo, Suzanne Treister, Adrián Villar Rojas, Tabita Rezaire, Danielle Brathwaite-Shirley, Lotta Petronella con Sami Tallberg e Lau Nau. Nuove direzioni che, nonostante tutto, lasciano trapelare un raggio di ottimismo verso il futuro nel parlare di «contaminazione», «rigenerazione» e «azione» soprattutto in riferimento all’Isola di Vallisaari nel suo ruolo di protagonista principale della Biennale di Helsinki.

Questa piccola isola di fronte al porto di Helsinki (è raggiungibile in traghetto in mezz’ora) non è solo lo scenario in cui sono collocate numerose opere (molte realizzate in situ) – altre sono ospitate all’HAM Museum e in altri spazi della città, tra cui l’area di Lyypenkinlaituri vicino al vecchio mercato coperto con l’installazione di adobe I re-member Mama della sudafricana Dineo Seshee Bopape – ma è di per sé fonte ispiratrice di un dialogo serrato tra la natura, gli abitanti, gli artisti e i visitatori. Vallisaari è un luogo affascinante: fragile e aggressiva, bucolica e armata. Aperta ai visitatori dal 2016 all’insegna della politica di un turismo sostenibile, è stata per secoli una base militare (le prime fortificazioni risalgono al XVII secolo) come testimoniano la presenza di bunker, magazzini per la polvere da sparo, cisterne, caserme in muratura. Una restituzione alla collettività nella sua essenza di «paradiso ecologico» anche per le migliaia di specie di farfalle e falene, pipistrelli e una vegetazione ricca di Bunias orientalis, Berteroa incana, Dracocephalum triflorum tra le varietà botaniche. Più di un’opera della Biennale di Helsinki parte proprio dall’osservazione della natura e delle sue «entità mitologiche» per affrontare questioni legate ai cambiamenti politici, climatici, economici, alle politiche post coloniali e immigratorie.

È il caso dell’installazione Kratt – Diabolo. N. 3 + Elevated Platform (2022) dell’artista di origine iraniana Bita Razavi presentata integralmente per la prima volta in questa occasione, dopo la censura alla 59. Biennale di Venezia nel padiglione nazionale dell’Estonia. La scultura cinetica a forma di ragno che s’ispira ad una creatura della mitologia estone produce meccanicamente da una parte i disegni botanici di Emilie Rosalie Saal (1871-1954) e dall’altra le foto d’archivio delle piantagioni (rimosse a Venezia) di cui era proprietario a Giava suo marito Andres Saal (1861-1931), scrittore, fotografo, etnografo e cartografo estone oppositore delle politiche coloniali olandesi che aveva umili origini ma che era diventato membro della società elitaria coloniale. Immagini che documentano lo sfruttamento delle risorse umane e naturali nelle Indie Orientali Olandesi. La storia si dipana proprio sul doppio binario della contraddizione, rivelando criticità e conquiste. «Non raccontare queste storie o non affrontare l’oscuro contesto coloniale della storia del successo di Saal sarebbe stata una cancellazione storica. Il mio lavoro si occupa della cancellazione, della complessa relazione tra il colonizzato e il colonizzatore, e delle narrazioni incomplete», afferma Razavi sottolineando come la pratica stessa della pittrice botanica (all’ombra della notorietà del consorte) fosse stata resa possibile grazie alle donne indonesiane che lavoravano nella sua casa. «Kratt rappresenta la possibilità di un servitore per un servitore».

Saper cogliere l’ultimo volo delle falene: intervista con Lotta Petronella
La Morte (l’Arcano), Il Folle, La Giustizia: tre carte dei Tarocchi scelte a caso che diventano l’occasione per una divinazione che non è una semplice lettura interpretativa del futuro. Per Lotta Petronella, artista, curatrice e filmmaker finlandese (autrice di film premiati come Själö: Island of Souls del 2020), nonché studiosa di tarocchi e produttrice di essenze floreali e medicine con le erbe, si tratta di un paragrafo all’interno dell’opera corale Materia Medica of Islands che ha realizzato sull’Isola di Vallisaari per la II Biennale di Helsinki 2023 in collaborazione con il noto chef Sami Tallberg e la cantante e musicista Lau Nau (Laura Naukkarinen), insieme ad un team di professionisti tra cui A. Rajala, A. Jussilainen, G. Ariana, H. Pyhäjärvi, K. Vahvaselkä (lamentazione), Ma. McMahon (costumi), A. Häkkinen (suono), S. Oakes (assistente), I. Tolmunen (film screening performance live Psyche), Lassi Jalonen e la Lepidopterological Society of Finland (consulenza sulle falene). Materia Medica of Islands è un’opera che comprende una farmacia, una lamentazione, le registrazioni notturne del volo delle falene e il tributo a Ilma Lindgren, grazie alla quale in Finlandia è stato sancito il diritto di utilizzo del suolo.

Come nasce l’Idea della performance «divinatoria» «Oracle Reading» nell’ambito dell’opera «Materia Medica of Islands» commissionata dalla Biennale di Helsinki?
Realizzo film da vent’anni ma per quest’opera, forse in parte anche per via del covid, ho sentito che dovevo tornare alla performance. Non volevo avere uno schermo ma una connessione più diretta con il reale. Materia Medica of Islands è un’opera semplice per il modo in cui è comprensibile, ma allo stesso tempo complessa. Ho fatto molte ricerche ed ho anche trascorso molto tempo dormendo con altre specie – i fiori, le falene – per cercare di capire e trovare nel loro forte messaggio una guida per imparare. Per farlo, però, ho avuto bisogno di preparami perché se si è troppo sensibili si può andare fuori di testa. Bisogna essere sempre consapevoli di quello che si fa. Ho lavorato anche con un gruppo di donne per la realizzazione della musica che si può ascoltare all’interno dello spazio espositivo dove si è invitati ad entrare senza però dimenticarsi di se stessi, guidati da qualcosa che è impossibile misurare. Lavoro con i tarocchi da parecchi anni. Li trovo interessanti nel cercare di leggere il nostro ambiente, noi stessi, così come gli oracoli, la bibliomanzia. Li vedo come una medicina, un modo per aprire un’altra porta, soprattutto quando i tarocchi propongono soluzioni a cui non si pensava. Guardarsi intorno, mettersi a testa in giù. Quando si sta al contrario, si riceve attraverso il cuore che è sopra alla testa, allora si diventa «mistici» in grado di analizzare quello che va bene e quello che non va bene. Questo è un po’ il modo in cui questo lavoro è stato realizzato, attingendo a diverse fonti della conoscenza e attendendo di vedere come ciò può essere di supporto a noi stessi. A come poterci prendere cura di noi, non solo come individui ma come comunità, famiglia. L’opera è anche un tributo commemorativo ad una donna – Ilma Lindgren – che si è battuta per ottenere una legge incredibile che abbiamo in Finlandia chiamata «Everyman’s rights» che è il diritto di utilizzo del suolo, detta anche diritto di pubblico accesso. Per merito suo nei territori abbandonati chiunque può raccogliere mirtilli o funghi, mangiarli e preparare dei rimedi naturali. Trovo, poi, che sia importante anche dare ad ogni cosa il proprio nome. Chiamare con il proprio nome ogni essere vivente, per me, è come una preghiera.

A proposito di nomi, le tue Carte dei Tarocchi sono speciali perché ognuna è dipinta a mano e reca il nome di un diverso tipo di falena…
Le falene vengono studiate sull’isola di Vallisaari fin dagli anni Sessanta. Inoltre, c’è un’idea di continuità con il mio ultimo film Själö: Island of Souls (un documentario sull’isola baltica di Själö detta «l’isola delle anime» dove nel 1619 – il re Gustavo Adolfo di Svezia fece costruire un lebbrosario che successivamente divenne un manicomio fino al 1962, data della sua chiusura. Oggi ospita il Centro di ricerca ambientale dell’Università di Turku – ndR) che ha inizio proprio con l’immagine di una falena. Le falene sono incredibili perché vivono sulla terra da 200 milioni di anni, ancora prima delle farfalle. A loro molti poeti, soprattutto sufi, hanno dedicato innumerevoli poesie.

Però c’è una contraddizione di fondo, perché per essere studiate le falene vengono intrappolate e uccise…
La scienza ha sempre a che fare con la morte. Per studiare le migliaia di varietà di falene bisogna classificarle, capire quali sono pericolose. Il loro ultimo volo diventa l’oracolo.

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