«Mai avrei pensato di ricevere un premio come questo. Io, così intrinsecamente marginale, assolutamente precaria, deliberatamente straniera ai valori di mercato. Oggi è un giorno straordinario». Sono queste alcune delle parole con cui Cristina Caprioli, coreografa, teorica, studiosa italiana residente in Svezia, ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera della Biennale di Venezia durante We Humans, il 18° Festival Internazionale di Danza Contemporanea diretto dal coreografo Wayne McGregor al suo quarto anno di mandato, appena rinominato per altri due. Un riconoscimento fuori dagli schemi, pertinente a Caprioli, artista la cui ricerca sul corpo, sulla danza e sulla multidisciplinarietà della performance ruota intorno a concetti esplorati con realistica pienezza e originalità: urgenza, cura, sostegno di ciò che è ancora incerto, attenzione alle difficoltà, nessuna ritrosia verso i momenti di stallo. Decenni di installazioni, spettacoli, performance, convegni, dove non c’è nulla di vissuto come già guadagnato.

UNA DETERMINAZIONE silenziosa, fondamentalmente curiosa verso collaborazioni nelle arti a tutto campo, un lavoro anche gioioso nella luce di una disamina «fisica, emotiva, intellettuale del movimento» compiuta dal 1998 e costantemente in fieri con il ccap – Cristina Caprioli Artificial Project. Un’organizzazione che nel tempo – perché sempre anche il pensiero è in evoluzione e riconsiderazione – porta l’acronimo ccap alla trasformista declinazione Crash Choreography Alliterative Periphery.
In Biennale Caprioli era apparsa nel 2010, sotto la direzione del festival di Ismael Ivo, con Cut-outs & Trees, un pezzo luminoso nella concretezza di una danza che apriva domande sullo spazio percettivo e sulla densità dell’immagine. McGregor ha voluto Caprioli presente al festival con più lavori, a partire dall’assolo Deadlock, «saggio sulla danza transformica e fuga nell’indisciplinato» ancora alle Tese questo weekend e dall’1 al 3 agosto. Alla Sala d’Armi all’Arsenale è visitabile Flat Haze, nove ore di coreografia in continua trasformazione, «un luogo di contemplazione, estraneo ai più, gentile come un abbraccio lontano». E ancora di Caprioli è in programma Silver, «parco-gioco argenteo» a Forte Marghera (Mestre). Con l’artista hanno anche studiato i danzatori del College, spronati da un’indagine rigorosa e feconda: Caprioli li ha coinvolti in The Bench, performance in bilico tra movimento quotidiano e extra-ordinario tra le panchine di via Garibaldi.

IL TAGLIO dato da McGregor al festival di quest’anno nasce come esplorazione dell’umano. Dichiara l’artista: «In un’epoca in cui la tecnologia ci consente di vedere in tempo reale, in dettaglio, eventi in corso nell’altra metà del mondo, dobbiamo chiederci – come in nessun altro momento della storia – dove abbia sede la nostra umanità e come accedervi attraverso un legame più profondo con il nostro essere corpo». “Amo la danza altamente tecnica, fisica, che ci commuova, voglio vederla esplodere gioiosamente sui palco. E trovo intrigante la realtà virtuale”. Wayne McGregor
Una scelta che ha una declinazione non scontata anche nel Leone d’Argento 2024, Trajal Harrell. «I suoi spettacoli» recita la motivazione del Premio «sono oggetti sensibili, ibridi e gioiosi che prendono in prestito in egual misura dalla moda, dalla cultura pop e dagli artisti d’avanguardia…». A Venezia, oltre ad aver presentato il suo intimo assolo Sister or He Buried the Body, Harrell porta il 2 e 3 agosto Tambourines, spettacolo ideato per la sua compagnia di Zurigo in cui, attraverso una rilettura de La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, riflettere su razza, gender e politica nell’America postcoloniale.
Tra le formazioni viste nei primi giorni del festival una segnalazione di merito va a GN | MC Guy Nader | Maria Campos, ensemble di Barcellona fondato da artisti libanesi e spagnoli. Il loro Natural Order of Things sviluppa con magnetica formula il rapporto tra il peso del corpo e la forza di gravità, grazie a nove interpreti tra cui gli stessi Nader e Campos. Un fluire di linee che si scompongono e ricompongono tra lifts, cadute e rimbalzi da terra, slanci e sospensioni, fuori asse, recuperi dell’equilibrio. Affascinante e ottimamente costruito.

DANZATORI eccellenti anche in Waves con il Cloud Gate Dance Theatre of Taiwan di Cheng Tsung-lung al Malibran, indagine curiosa tra movimento dal vivo e sua elaborazione digitale tramite AI, anche se a lungo andare ripetitiva. Vincitrice del bando della Biennale per una nuova creazione internazionale, l’argentina Melisa Zulberti non convince con il suo Posguerra. Il tema apocalittico di un immaginario dopoguerra vissuto tra blocchi a specchi da giovani donne militari munite di elmetto con telecamere in live streaming parte bene ma si perde nel corso del pezzo con una drammatizzazione ad effetto di superficie.
Tra le tante le cose da vedere ancora in programma al festival oltre all’atteso We Humans are Movement di McGregor per il College al Palazzo del Cinema al Lido il 2 e il 3 agosto, da non perdere a Cà Giustinian è la mostra Iconoclasts – Donne che infrangono le regole alla Biennale Danza. Curata da Wayne McGregor in collaborazione con la critica e studiosa Elisa Vaccarino e con l’Archivio Storico della Biennale, Iconoclasts è un viaggio tra eccezionalità, ricerca, intuizioni. Immagini, filmati, poster e locandine, per rivivere le storie in laguna tra il 1903 e il 2023 di Isadora Duncan, Josephine Baker, Meredith Monk, Martha Graham, Pina Bausch, Carolyn Carlson, Marie Chouinard e di molte molte altre artiste. Aperta fino a fine anno.