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Biblioteche, spina nel fianco anche per gli inglesi

Biblioteche, spina nel fianco anche per gli inglesiBritish Library

Express In Gran Bretagna, una ricerca indipendente ha riscontrato una «mancanza di riconoscimento» da parte del governo e una «mancanza di consapevolezza» da parte del pubblico di ciò che queste istituzioni hanno da offrire

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 25 gennaio 2024

Mal comune mezzo gaudio? No, o non sempre, perlomeno. Non fa piacere, per esempio, leggere che anche nel Regno Unito istituzioni e cittadini sottovalutano l’importanza delle biblioteche. Sembra impossibile, in un paese dove i non-lettori, quelli che un libro non lo toccano neanche con il dito mignolo, sono solo il 18 % (da noi, secondo gli spietati parametri dell’Istat, si aggirano intorno al 60 %). Eppure, scrive sul Guardian Ella Creamer, «una ricerca indipendente ha riscontrato una ‘mancanza di riconoscimento’ da parte del governo e una ‘mancanza di consapevolezza’ da parte del pubblico di ciò che le biblioteche hanno da offrire».
Commissionato dal ministro per la cultura e le comunicazioni, il conservatore Stephen Parkinson, e condotto da Elizabeth Sanderson, ex giornalista nonché baronessa, lo studio britannico, fedele allo spirito pragmatico nazionale, contiene anche diversi elementi propositivi: fra le azioni suggerite, «la creazione di un ministero delle biblioteche, l’istituzione di un ‘bibliotecario laureato’ (sul modello, supponiamo, dei ‘poeti laureati’, molto diffusi nel mondo anglofono, ndr) e una grande campagna promozionale».
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Se queste misure, ammesso vengano messe in pratica, saranno in grado di rinfocolare la passione per le biblioteche, resta da vedere. In linea di massima, si è piuttosto tentati di dare ragione a Isobel Hunter, a capo di Libraries Connected, un ente no-profit che si occupa dei servizi bibliotecari: «Il problema di fondo del settore è l’investimento insufficiente alla rete delle biblioteche pubbliche, effetto dei successivi tagli ai bilanci comunali, dell’inflazione e dell’aumento della domanda di altri servizi obbligatori come l’assistenza sociale», ha dichiarato Hunter, aggiungendo che «senza finanziamenti più equi e a lungo termine, è difficile capire come le raccomandazioni della baronessa Sanderson possano essere pienamente attuate».
Altrettanto difficile, però, pensare che ci si muoverà nella direzione indicata da Hunter. Lo dimostra un’altra «raccomandazione-chiave» contenuta nell’indagine sulle biblioteche: la necessità «di rafforzare la rete dei volontari» (e di nuovo, un malinconico confronto con la situazione italiana sorge spontaneo).
Non tutto, però, è da buttare. Più interessante, per esempio, un’altra proposta, che si potrebbe importare con qualche utilità anche da noi, dove i collegamenti fra i diversi sistemi bibliotecari sono spesso lacunosi: secondo la ricerca condotta dalla baronessa Sanderson, «la British Library dovrebbe assumere un ruolo di coordinamento con l’obiettivo di avviare ‘una preziosa conversazione centralizzata’ sul lavoro delle biblioteche», da cui potrebbero avere origine «interessanti opportunità e collaborazioni». Com’era prevedibile, la risposta della British Library non si è fatta attendere: Liz Jolly, responsabile della leggendaria istituzione (nei giorni scorsi oggetto di un violentissimo attacco cyber, che l’ha azzoppata, ma non fermata), si è dichiarata più che disponibile a questa collaborazione.
E su un altro paio di indicazioni varrebbe la pena riflettere: di una certa utilità potrebbe effettivamente essere, in Italia come nel Regno Unito, la realizzazione di una banca dati a livello nazionale per analizzare l’impatto delle biblioteche sulle comunità e pure l’ipotesi di iscrivere automaticamente i bambini alle biblioteche pubbliche locali (una misura che da noi dovrebbe comunque andare di pari passo con il potenziamento delle biblioteche scolastiche, anello fondamentale – ed eternamente trascurato – di un serio sostegno alla pratica della lettura).

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