Cultura

Biancamaria Frabotta, lo sguardo regale della poesia

Biancamaria Frabotta, lo sguardo regale della poesiaUn ritratto della poeta Biancamaria Frabotta nel 1998 a Roma – Michele Corleone

ADDII Muore all’età di 76 anni la scrittrice e accademica le cui sillogi in versi hanno attraversato il Novecento. Tra i suoi libri: «Rumore bianco», «Affeminata», «L’albero del pane», «Viandanza» e «Da mani mortali». Una interlocuzione importante con Rossana Rossanda che recepì tutte le sue produzioni

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 4 maggio 2022

Biancamaria Frabotta si è spenta lunedì sera a Roma a 76 anni. Amica, poeta, docente universitaria, ha fatto anche parte della storia multiforme de il manifesto, non solo per la sua collaborazione alle pagine della Cultura, ma per un rapporto speciale sulle tematiche femministe con Rossana Rossanda e per un sodalizio – sorellanza – con Giuseppina Ciuffreda e molte altre compagne.

Conoscevo Biancamaria da una vita intera, quando ancora frequentava la facoltà di Lettere, quelle scalinate sono state lo sfondo di tanti indissolubili legami personali e politici. Ho perfino letto la sua tesi su Carlo Cattaneo con cui si laureò.

ERA LA FINE degli anni Sessanta. Non ricordo più a quante manifestazioni contro la guerra ho preso parte – allora quella del Vietnam, perché c’è sempre una guerra a scandire la nostra esistenza – con Biancamaria e tanti altri di un drappello di allora giovanissimi appassionati e praticanti di poesia.

Avevamo preso l’abitudine di riunirci al Ferro di Cavallo di Via Ripetta, nel sottosuolo di quella piccola libreria d’arte davanti all’Accademia di Belle arti. Complice Renzo Paris, allora compagno di Biancamaria, che con Gianni Toti dirigeva la rivista «Carte Segrete» che lì aveva sede. Era un crogiuolo di esperienze, lettura dopo lettura, scambio dopo scambio di testi, di parole e di esperienze.

A un certo punto ci era stato dato il nome di «poetibili»: c’erano oltre a Renzo e Biancamaria, Franco Cordelli, Alfonso Berardinelli – allora rigorosamente solo poeti -, Giorgio Manacorda, Franco Montesanti, Giulio Ferroni, Augusto Pantoni, Dario Bellezza ed era presente qualche volta anche Amelia Rosselli.

Frequentavamo Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna. Biancamaria appariva con il suo volto sereno, i gesti composti, la voce bassa e gentilmente esitante da meritare un ascolto attento perché dalle sue domande appariva la ricerca di una disciplina non solo formale.

Già allora s’interrogava sulle tante voci di donne che avevano presa la parola in poesia dal dopoguerra e che erano state poi dimenticate, se non cancellate – pubblicherà poi una antologia, Donne in poesia approfondendo la ricerca antologica di Enrico Falqui. Tante le voci nuove. Una pizza per festeggiare qualche pubblicazione importante strappata e i primi soldi guadagnati con le recensioni.

Con Biancamaria attraversavamo Roma, di fontanella in fontanella, dal centro alla periferia. Tutto era in movimento, c’era il mondo in movimento, nella stessa lunghezza d’onda del nostro privato, così sembrava. «Pubblico e privato» ben prima di Castel Porziano, fu poi l’altra stagione di poesia vissuta insieme negli anni Settanta.

«IL MANIFESTO», quando nacque dopo la radiazione del Pci, e poi il quotidiano, apparvero a molti, tra la vasta diaspora di sigle e gruppi, come un approdo insperato: eretico, colto e pieno storia per la sua provenienza e di domande nuove sul presente e sul futuro del mondo intero.

Poi il suo incontro con Brunello, il legame più forte della sua vita: quel «rumore bianco» come percezione di poetica al quale Biancamaria arrivò come in un nuovo porto, veniva da una cognizione della fisica.

Bianca trovò interlocutrici importanti nell’avventura del discorso e della pratica femminista. Soprattutto in Rossana Rossanda che recepì direttamente tutte le sue produzioni poetiche e letterarie.

«Sulla poesia non oso metter becco – scriveva Rossana Rossanda sul manifesto nel 2003 recensendo il romanzo Quartetto per masse e voce sola -, la ascolto, e di lei ho ascoltato molto, da Rumore bianco a Affeminata, L’albero del pane e soprattutto Viandanza. Quartetto è scritto in prosa, ma la parola e le scansioni hanno la pregnanza dei versi … è una scrittura su di sé. Non un’autobiografia ma, ci avverte, un autoritratto, un cogliersi nella luce di ora; domani potrà essere diversa. E chi mostra? Una donna fra due secoli, Novecento e Duemila … Ci sono anche una madre bellissima e due sorelle, che ricordo assieme in un rosso tramonto romano, alte, dritte e con un’aria vagamente regale. Biancamaria porta, su un invidiabile collo, il profilo piegato verso chi le parla, come chi è avvezzo a guardare in giù. Come molte bambine si è interrogata sulla sua identità, e adolescente quel suo corpo nordico e in apparenza saldo, in verità fragile, l’ha messa a disagio».

E COSÌ CONCLUDEVA: «Forse per questo la sua voce ha un timbro sommesso, come se avanzasse incerta, il che è del tutto lontano dall’essere vero».

L’«amica bella» la chiamava Rossana, e per noi, presi dal suo sorriso sempre acceso, non era diversamente soprattutto nella scoperta della sua anti-retoricità in Da mani mortali: «Sono come le pulci, i poeti/ acquattati nel pelo del mondo».

«Sono come le pulci, i poeti/ acquattati nel pelo del mondo»Biancamaria Frabotta, Da mani mortali

Avevamo ripreso i contatti negli ultimi anni, quelli della malattia che non le dava tregua. Sensibile e serena nonostante tutto, aveva compreso «troppo tardi» la sensibilità e profondità della sorella Gabriella.

Aveva raccolto memorie su di lei per dedicarle un «corale» pieno di foto d’epoca e così in una sera romana nella sede di Empirìa a Roma l’avevamo ricordata con Manuela Fraire, Adelaide e tutta la famiglia, anche quella dei poeti.

Per Biancamaria che se ne va valgono le parole di Agostino d’Ippona che lei scelse in esergo dell’album dedicato alla sorella.

«Coloro che amiamo
e che abbiamo perduto
non sono più dove erano
ma sono ovunque noi siamo».

L’ultimo saluto

I funerali di Biancamaria Frabotta si svolgeranno venerdì 6 maggio alle ore 11 al Tempietto egizio (al Cimitero del Verano). La camera ardente sempre il 6 maggio dalle 9 alle 10 presso la camera mortuaria dell’ospedale San Giovanni in via Santo Stefano Rotondo, 5. Per entrambi occorrono mascherina e greenpass.

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