Visioni

«Bestiari, Erbari, Lapidari», l’umanità allo specchio e il pianeta senza di noi

Un fotogramma da «Bestiari, Erbari, Lapidari»Un fotogramma da «Bestiari, Erbari, Lapidari»

Mappe Il film enciclopedico e d’archivio di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti è in tour nelle sale. Animali, piante e pietre nelle immagini, tra violenza e sparizione

Pubblicato un giorno faEdizione del 8 ottobre 2024

Allo specchio potrebbe capitare di osservarci e di trovare in quel riflesso orrore e piacere. Scoprendo gesta terrificanti, anime nere che infliggono dolori, che impartiscono tremende punizioni e torture, che studiano modi per sopraffare moltitudini e per renderle docili a un solo comando. E poi, però, quasi inebetiti, ammirando la composizione di un quadro che assume una forma sublime. È l’equivoco dell’immagine che racconta e ammalia, che promette di non ferirci con quella bellezza terrificante.

L’UMANO a un certo punto ha creato una propria narrazione, una storia metafisica nella quale potersi arbitrariamente collocare dentro e fuori dal mondo.

Dentro, perché è lì che agisce, che produce opere, che prova sentimenti, che ha paura e coraggio, che si misura con tutti gli esseri viventi e con le cose, che appare e scompare seguendo il ciclo della vita.

Fuori, perché nel suo delirio di onnipotenza si è innalzato a semi-divinità arrivando a identificare la propria fine con quella del mondo stesso, distanziandosi dalla natura, scambiando il limite del suo corpo per un confine invalicabile che lo separa da tutto il resto. Trascurando il fatto che l’uomo è esattamente in quel «tutto il resto». E così, in questo esserci e non esserci, nell’immanenza e nella trascendenza, orrore e piacere si mescolano producendo cortocircuiti che incendiano il Pianeta, travolgendo chi vi dimora.

Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Bestiari, Erbari, Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti è una potente riflessione sulla vita e la morte, sull’unicità e la riproducibilità, su tutto ciò che esiste, sulla ragione che divide, cataloga, deforma, riduce, appiattisce, sulla scienza e le sue folli derive, sul cinema come negazione dell’etica. Animali, piante, pietre, sono i soggetti privilegiati del film, ma anche chi li osserva si erge a protagonista di questo lungo saggio visivo diviso in tre capitoli. Un’enciclopedia piena di nessi e analogie, di punti di vista che cambiano, di tragiche memorie, di passati che si ripropongono nel nostro presente.

UN DOCUMENTARIO complesso che genera pensieri e contraddizioni, che stimola ragionamenti ed emozioni. Costringe, ad esempio, a continue domande sulla nostra posizione. Siamo spettatori, antagonisti del mondo circostante, complici, guaritori, carnefici? D’Anolfi e Parenti non offrono una risposta univoca. Con i materiali d’archivio, soprattutto, di Bestiari e Lapidari e le riprese realizzate per Erbari nell’Orto Botanico di Padova, si inoltrano (e noi con loro) in un labirinto dal quale è possibile uscire percorrendo differenti sentieri e ottenendo responsi incerti.

Una scena del film «Bestiari, Erbari, Lapidari»
Una scena del film «Bestiari, Erbari, Lapidari»

SE NEL PRIMO e nel terzo episodio sentiamo il peso di un assedio che l’umanità ha protratto nei secoli ai danni di ogni specie, compresa la propria, nel secondo torna il respiro. In Erbari, l’uomo è (finalmente, verrebbe da aggiungere) assente. Quanto meno, non si avverte il suo ruolo di usurpatore. Che abbia momentaneamente nascosto lo scettro o che sia tornato a essere parte tra le parti, non lo sappiamo. Quel che è certo, il nostro sguardo non si infrange negli universi concentrazionari costruiti per gli animali e poi per donne e uomini. I primi intesi una volta ancora nel ruolo di cavie, di strumenti per esperimenti scientifici e sociali. Tutto per istituire un delirante dominio su intere collettività, tanto nei regimi totalitari quanto nei sistemi democratici.
Tra le piante, si impone la poesia. E riemerge l’idea di un tempo dilatato che supera i limiti della nostra immaginazione. È nella vegetazione dell’Orto Botanico e nelle considerazioni di una voce fuori campo che si rivela quanto sia effimero il nostro assolutismo. Poche migliaia di anni e ci siamo convinti di essere il fine di ogni cosa. Il pianeta, invece, proseguirà, indifferente alla nostra esistenza, nei suoi moti di rotazione e rivoluzione.

Bestiari, Erbari, Lapidari è inoltre un sentito omaggio a tanti filmmaker: «Non avremmo fatto film – confessano D’Anolfi e Parenti – senza Roberto Rossellini e Carl Theodor Dreyer, non avremmo amato il cinema senza Ernst Lubitsch e Billy Wilder, non avremmo scoperto il cinema documentario senza Frederick Wiseman e Robert Kramer, amiamo gli archivi grazie ad Yervant Gianikian, Angela Ricci Lucchi e Harun Farocki, non avremmo capito le sfide e la meraviglia senza La grande estasi dell’intagliatore Steiner di Werner Herzog o cosa significa sperimentare in mancanza di Carmelo Bene e Jan Švankmajer, non avremmo capito gli uomini senza Robert Bresson e Andrej Tarkovskij, senza Béla Tarr e Artur Aristakisyan. Il cinema che ci piace si nutre di film, letteratura, poesia, musica, pittura, strade, uomini, animali, agenti atmosferici. E Bestiari, Erbari, Lapidari, come tutti gli altri nostri lavori, sarà anche il portato di queste influenze».

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti presentano «Bestiari, Erbari, Lapidari» nelle sale italiane. Tra le date in programma: oggi a Firenze al Cinema La Compagnia, ore 19; domani a Pisa al Cinema Arsenale alle 20; venerdì 11 ottobre a Bologna alle 18 al Modernissimo; sabato 12 ottobre a Spoleto (ore 17 – Sala Pegasus) e Perugia (ore 20 – Postmodernissimo); lunedì 14 ottobre a Bergamo, alle 20 al Cinema Borgo; martedì 15 ottobre a Brescia (ore 20.45 – Nuovo Eden); giovedì 17 ottobre a Torino (Cinema Fratelli Marx); martedì 12 novembre alle 20 al Cinema Greenwich di Roma.

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