Bertolucci, il Piccolo Buddha compie trent’anni
La mostra Per celebrare il trentennale del film, la Fondazione Bertolucci, capitanata con competenza e passione da Valentina Ricciardelli (cugina del regista), organizza, in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti, un grande evento a Parma con la partecipazione di Jeremy Thomas, con la proiezione del film restaurato e una esposizione delle immagini di backstage del film scattate da Angelo Novi e Alessia Bulgari
La mostra Per celebrare il trentennale del film, la Fondazione Bertolucci, capitanata con competenza e passione da Valentina Ricciardelli (cugina del regista), organizza, in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti, un grande evento a Parma con la partecipazione di Jeremy Thomas, con la proiezione del film restaurato e una esposizione delle immagini di backstage del film scattate da Angelo Novi e Alessia Bulgari
Questa singolare storia inizia diversi anni or sono e racconta di come critici e registi in un tempo non molto lontano siano riusciti a incrociare le loro carriere, spingendo in altri territori le loro professioni (specie i primi).
Il rapporto di Bernardo Bertolucci con la critica cinematografica è stato sempre un rapporto speciale: prima di diventare il regista celebre nel mondo per titoli quali Ultimo tango a Parigi (1972) e L’ultimo imperatore (1987), Bertolucci ha sempre avuto una certa attenzione/attrazione per i piccoli festival gestiti da cinefili, per il Filmstudio di Roma, culla delle avanguardie cinematografiche, del cinema sperimentale e militante in cui si formarono almeno due generazioni di cineasti: suoi grandi amici, per esempio, sono stati i critici Adriano Aprà, Enrico Ghezzi, Marco Melani, Enzo Ungari. Ungari fu perfino scelto da B.B. per la co-sceneggiatura di L’ultimo imperatore, insieme a Mark Peploe, già sceneggiatore di Professione: Reporter di Antonioni. Evidentemente il piacere di intuire delle potenzialità altre in chi del cinema sposa la teoria, era un rischio, una sfida che a Bertolucci piaceva accettare e raccogliere. Tra i nove Oscar dell’Ultimo imperatore c’è anche quello relativo alla sceneggiatura.
Passano gli anni e, grazie anche alla collaborazione professionale con il più illuminato dei produttori indipendenti, il britannico Jeremy Thomas (a lui si devono pellicole memorabili dirette da Skolimowski, Roeg, Oshima, Reisz, Jarmush, Cronenberg, etc.), Bertolucci dirige nel 1990 Debra Winger e John Malkovich in Il tè nel deserto dal cult-book di Paul Bowles, proseguendo la sua tematica esistenzialista in un ambiente esotico (il Nordafrica del 1947), per poi arrivare due anni dopo a filmare in India Piccolo Buddha, il titolo che conclude la sua cosiddetta «trilogia dell’Oriente».
Il film prese corpo su sollecitazione del produttore francese Francis Bouygues (alla cui memoria è dedicato), il quale offrì al regista «carte blanche» sulla maniera di mettere in scena le gesta del principe indiano Gautama (c.560-480 a.C.), fondatore del buddismo; di conseguenza, coinvolto anche Jeremy Thomas nella produzione, fu subito chiaro che occorreva trovare una maniera per sfuggire alle insidie di un film in costume dedicato a una figura dell’antichità immersa nella leggenda («trappola» letale per Oliver Stone quando nel 2004 diresse Alexander sulle gesta di Alessandro Magno) e dare alla vicenda un valore di contemporaneità. Bertolucci e Thomas decisero che il co-sceneggiatore ideale da affiancare a Mark Peploe nella scrittura era lo statunitense Rudy Wurlitzer che aveva già scritto la «leggenda western» di Patt Garrett & Billy the Kid per Sam Peckinpah ed era (è) altresì un grande esperto di buddismo.
Per tutti coloro che non hanno visto il film, ricordiamo che si sviluppa incrociando due tracce differenti, la prima, contemporanea, ambientata a Seattle che narra la vicenda di Jesse, un bambino, che per una serie di singolari accadimenti, viene ritenuto come la probabile incarnazione di un Lama tibetano e quella del Principe Siddhartha che divenne il Buddha, ambientata nell’India di duemilacinquecento anni prima. Il trait d’union tra le due, è rappresentato da un piccolo libro illustrato, Piccolo Buddha-La Storia del Principe Siddharta.
Fu questa l’occasione per una seconda collaborazione tra un critico cinematografico e un regista. Il critico in questione questa volta ero io: avevo conosciuto Bertolucci dopo il trionfo globale di L’ultimo imperatore e ottenni da lui, che aveva apprezzato un mio precedente lavoro su C’era una volta in America , l’incarico di realizzare un maestoso coffee table book (L’ultimo imperatore-Storia di un viaggio verso Occidente, I.P.Z.S., 1988) che accostava alle foto di scena e ai fotogrammi del film brani di letteratura cinese delle varie epoche, dal Sogno della Camera rossa del XIX secolo, a brani di «cronaca e poesia rivoluzionaria», come gli scritti di Lu Xun.
Al momento di decidere chi dovesse realizzare il «mock up» del libro Piccolo Buddha- La Storia del Principe Siddharta che Lama Norbu (Ying Ruocheng) regala al piccolo Jesse (Alex Wiesendanger), Bernardo si ricordò che nel passato «ante-critico», mi ero occupato di fumetto e di illustrazione, proponendo sia personaggi originali (lo scheletro vivente, il Dr.Carelli, poi diventato protagonista della mia trilogia di romanzi) che derivati, ovvero quelli disneyani. Inutile negare che l’idea di partecipare in qualche modo «direttamente» a un film di Bernardo Bertolucci mi esaltò non poco e così nella primavera del 1992 mi misi alla ricerca di materiale iconografico che potesse consentirmi una elaborazione grafica, con uno stile da «Kids Book», della storia di Siddhartha. Mi recai a Londra e con un’addetta della Produzione, facemmo ricerche in molti negozi di materiali «buddisti». Il mio occhio si fermò su un opuscolo in particolare, risalente probabilmente agli anni Quaranta, un albo stampato su carta dozzinale, ma con delle illustrazioni rettangolari in bianco e nero molto belle che raccontavano in maniera fascinosa e fiabesca tutta la vita di Siddhartha dalla nascita all’Illuminazione. Io mostrai questo libriccino a B.B. e lui subito fu d’accordo con me che quel «fumetto», tutto scritto in lingua hindi era quello giusto da cui poter partire.
Riprodussi le 23 immagini presenti e quindi le colorai ad acquerello. Il risultato finale piacque molto a Bernardo e, a film ultimato, la soddisfazione e l’emozione di leggere, sul grande schermo di Le Grand Rex (ove si svolse la «prima» a Parigi il 4 novembre 1993, alla presenza dello stesso Dalai Lama), nei titoli di coda: «Jesse’s Book Designed By Marcello Garofalo» furono naturalmente elevatissime.
Le tavole originali utilizzate in tipografia, per uno strano volere del destino, sparirono. Anno 2023: flashforward nel presente: per celebrare il trentennale del film, la Fondazione Bertolucci, capitanata con competenza e passione da Valentina Ricciardelli (cugina del regista), pensa di organizzare, in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti, un grande evento a Parma con la partecipazione di Jeremy Thomas, con la proiezione del film restaurato e una esposizione delle immagini di backstage del film scattate da Angelo Novi e Alessia Bulgari. Purtroppo l’amara sorpresa è stata data dalla costatazione che i negativi di tutti gli scatti fotografici inviati in USA per pubblicizzare il film non erano disponibili, essendo stati adoperati per la promozione mondiale e mai più restituiti dalle varie distribuzioni alla Produzione.
La Presidente della Fondazione Bertolucci si rammenta che io non avevo realizzato soltanto il «mock up» con i disegni per il libretto Piccolo Buddha, ma avuto anche da B.B. l’incarico di curare una mostra e un libro (Bertolucci’s Buddha, Electa, 1994 nella quale le foto di scena e del film erano accompagnate da testi letterari eterogenei. Mi telefona per chiedermi se magari io avessi conservato almeno qualche immagine. Quando le ho detto che custodivo tutte le stampe originali e anche i «fogli» con i provini utilizzati per l’esposizione, la reazione di gioia è stata tangibile, la stessa mia, felice di poter ricondurre alla «giusta fonte» ciò che per anni avevo custodito.
Questo perché a mostra conclusa, mi recai da Bertolucci per restituire a lui il materiale fotografico, e Bernardo mi disse: «Conservalo tu: io sono a favore dell’Impermanenza» (nella scena post-credits del film si vede la mano di un monaco buddista che con un colpo di «vajra» distrugge un magnifico mandala di sabbia). Combinazione volle che avessi fatto delle riproduzioni a colori anche delle mie illustrazioni per il Jesse’s Book: adesso per la prima volta sono esposte in questa mostra del trentennale. Così come nel film le due favole si riuniscono in una stessa scena e il confine tra la visione e ciò che si sta vivendo si annulla, è la vita stessa che ricostruisce dei modelli, delle copie, delle forme. La fiaba di Siddhartha si offre ancora una volta come parabola etica ancorata solidamente a fatti della vita.
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