Bersani: «Una Bicamerale per cambiare le Regioni e salvarle»
Il colloquio L'ex leader Pd: basta con i governatori. Torniamo allo spirito originario delle autonomie, altrimenti vincerà il centralismo
Il colloquio L'ex leader Pd: basta con i governatori. Torniamo allo spirito originario delle autonomie, altrimenti vincerà il centralismo
«Le autonomie, a partire dalla regioni, rischiano di uscire travolte da questa pandemia…ecco io invece vorrei provare a salvarle…». La frase di Pierluigi Bersani sull’abolizione dell’elezione diretta dei presidenti delle regioni- pronunciata martedì sera da Floris su La7 -ha fatto sobbalzare chi conosce la storia dell’ex leader del Pd. Ma come, è diventato centralista? «Non scherziamo», risponde seduto su un divanetto di Montecitorio. «Il problema è che in questi vent’anni c’è stata una deriva delle autonomie, l’elezione diretta ha creato questa figura del cosiddetto “governatore” che si sente rappresentante di un popolo. Ma le regioni non sono nate per questo, come un ente gerarchico che governa il territorio. Ma come un ente che mette a sistema le realtà locali, prova a uniformare i servizi».
«Io, da presidente dell’Emilia-Romagna, negli anni Novanta facevo così: prendevo gli esempi migliori sugli asili di Reggio Emilia o sui centri anziani e aiutavo gli altri comuni a raggiungere gli stessi risultati. Mica agitavo delle bandiere identitarie come il Leone di San Marco…». E ora? «Dopo 50 anni dalla nascita della regioni e 20 dalla riforma del Titolo V serve un tagliando su tutto il sistema delle autonomie, e ci metto dentro anche le province che hanno subito una riforma disastrosa e invece vanno rilanciate perché sono indispensabili».
Un tagliando che nella testa di Bersani si chiama « nuova Bicamerale dedicata alle autonomie». «Con questa riforma propongo di tornare alla legge elettorale degli anni Novanta (il «Tatarellum», dal nome del relatore di An Pinuccio Tatarella, ndr), quando il presidente della regione era indicato sulla scheda elettorale, ma eletto dal consiglio. Vorrebbe dire che se uno si dimette il consiglio non si scioglie m elegge un altro presidente».
Vorrebbe dire tagliare le unghie alla personalizzazione dei “governatori”. «Quella parola non si può sentire, nel 1995 iniziò a usarla Formigoni, io mi arrabbiavo, dicevo che non siamo degli stati americani. E ora con l’emergenza Covid si vede dove è arrivata questa deriva!».
Bersani non accetta l’accusa di chi dice che lui adesso ce l’ha con le regioni perché sono in gran parte di centrodestra, e battagliano con il “suo” ministro della Salute Speranza. «Stavolta destra e sinistra non c’entrano niente. Io, a differenza di molti, non voglio che la sanità torni in mano allo stato centrale. Chiaro? Se l’Italia è ancora ai vertici per la sanità pubblica è grazie alle regioni, col centralismo sarebbe molto più difficile avere una sanità per tutti, di territorio, sarebbe il trionfo delle mutue, un sistema ottocentesco». «Io non voglio un sistema come la Francia», si scalda Bersani. «E invece sento che questa idea sta crescendo, alimentata dal conflitto quotidiano tra livelli di governo».
Sul conflitto nel gestire la pandemia, l’ex leader Pd sembra oscillare: «Già con le leggi vigenti lo Stato potrebbe mettere fine a questi battibecchi e tirare una riga. In una emergenza del genere prevale l’interesse nazionale punto e basta», sospira. C’è un però nel suo ragionamento. «E invece nella pratica sconsiglio atti di forza, un atteggiamento stile pieni poteri che sarebbe controproducente. Tocca dialogare, attutire, smussare gli spigoli. Bisogna rispondere tutti all’appello serissimo del presidente Mattarella».
Che effetto le fa questo continuo litigio tra istituzioni? «Non mi stupisce per niente. Siamo arrivati all’apice di un rapporto che negli ultimi anni è stato sempre più squilibrato. Ma un conto sono i Comuni, dove si amministra, e va bene l’elezione diretta dei sindaci. Un altro i luoghi dove si esercita il potere legislativo, e qui non ci deve essere elezione diretta dei vertici e le assemblee devono contare di più. E invece ormai i consigli regionali non contano più nulla».
Anche il Parlamento conta pochino…«Non direi, il governo deve tenere sempre d’occhio il Parlamento. E anche in questa emergenza ogni due per tre Conte, Speranza o altri ministri vengono in Aula a riferire e spiegare. Se vogliono salvare le regioni, i presidenti non si offendano, ma mi ascoltino: ho fatto 16 anni in regione, sono stato uno di loro. Invece, se si va avanti così, a fine pandemia arriva una bella riforma che riporta la sanità allo stato centrale».
Davvero crede che si possa tornare indietro sull’elezione diretta dei presidenti? Dopo oltre vent’anni? Lo so che è difficile rimettere il dentifricio nel tubetto, ma almeno discutiamone. Così come dobbiamo discutere di autonomia impositiva degli enti locali. Oggi invece quasi tutti vogliono le compartecipazioni alle tasse nazionali». «Ma così è troppo facile», dice Bersani. «Alla fine oggi abbiamo meno tasse locali rispetto a quando io ero bambino, ma se non ti assumi le tue responsabilità che razza di autonomia è?»
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