Geppi Cucciari e i suoi autori avevano avuto vista lunga immaginando dentro il varietà culturale Splendida Cornice, la geniale rubrica Che tempo che fu, finte interviste di Fazio a illustri estinti, dove una nuvola di presago trapasso (televisivo) offuscava la trasmissione già Rai, effettivamente traslata in un al di là televisivo periferico. Che Tempo che Fa era nato, venti anni prima, con uno spazio MeteoLab al suo interno, nel tempo emarginato a favore di discorsi sull’area che tira più dentro che fuor di metafora. Oggi l’argomento meteo (il prediletto, diceva Oscar Wilde, per quelli senza immaginazione) legato a doppia mandata a quello del cambiamento climatico e dei suoi effetti, è tornato alla ribalta nelle conversazioni, e non solo quelle tra inglesi.

Ora che meteo.it e 3bmeteo.it sono tra siti che per audiweb racimolano più pubblicità, in tema di comunicazione del tempo meteorologico poco è lasciato all’immaginazione, anche se in Italia il tema non è ancora radicato come oltre Manica; per dire, nel Regno Unito già da quattro anni il Servizio Meteorologico nazionale ha elaborato linee guida impartite agli annunciatori delle previsioni e improntati a vedere il bicchiere mezzo pieno (ancorché di pioggia), dove prevalentemente sereno prende il posto di isolati temporali. L’attenzione inglese alle parole del meteo – e del clima – è rispecchiata dalle scelte del Guardian, che da tempo ha messo al bando espressioni che possano esprimere scetticismo sull’emergenza climatica o poca accuratezza (a «biodiversità» il quotidiano britannico preferisce «fauna selvatica», a «riserva ittica» «popolazione ittica»).

Intanto all’intelligenza emotiva delle comunicazioni umane sul meteo si è affianca quella artificiale delle macchine arruolate per prevederne le evoluzioni. Il Centro Europeo per le previsioni meteo di medio termine (Ecmwf), agenzia internazionale che unisce 35 stati europei i foraggia di dati i servizi nazionali, ha testato un nuovo modello di AI, il Pangu Weather, progettato dai ricercatori di Huawei addestrando una rete neurale su trentanove anni di informazioni, capace di prevedere i modelli meteorologici settimanali di tutto il mondo più rapidamente dei metodi di previsioni tradizionali e con un maggior grado di accuratezza. Il Centro Meteo europeo (dal 1975 di casa a Reading) ha ora la sua più grande sede operativa di calcolo a Bologna, nella sede del Tecnopolo Manifattura che ospita un computer capace di un milione di miliardi di operazioni al secondo, cinque volte di più di quanto non facesse la macchina collega inglese. Dal predire al conservare: Bologna custodisce anche l’archivio di dati meteo più grande del mondo che consente di ricostruire i cambiamenti climatici dal 1900 ad oggi.

In tema di informazioni meteo, oltre al primato archivistico, l’Italia celebra anche un trascorso popolare legato a una figura storica di divulgatore: Edmondo Bernacca. A Fivazzano, in provincia di Massa Carrara, gli è stato dedicato un Museo, anzi il Meteo Museo MMEB. Quest’anno, nel trentennale della scomparsa del primo meteorologo televisivo (l’esordio di Bernacca fu nel 1955, i suoi annunci sono andate avanti tutte le sere tra gli anni ‘60 e gli ’80), il Museo ha organizzato con AISAM un evento espositivo ed editoriale a cura della nipote del celeberrimo Colonnello dell’Aeronautica Militare, la fotografa Fulvia Bernacca, con una fitta rete di patrocinatori tra l’Agenzia Nazionale Italia Meteo. Sotto il titolo di «Sereno» è stato sviluppato un racconto visivo e poetico sulla figura del meteorologo e giornalista, attraverso scatti e documenti raccolti in un volume a partire da un documento autografo di Bernacca che raccoglie riflessioni sul meteo e sulla vita nella descrizione del tragitto dagli studi della Rai a casa sua. «Un nonno con la testa piena di nuvole» racconta Fulvia Bernacca, il cui libro d’arte, curato da Studio Forward è stata presentato all’interno di una mostra diffusa parallelamente al progetto fotografico di un altro autore, Michele Lapini, Capitalocene, lavoro incentrato sulle conseguenze economiche, sociali ed ambientali dell’agire del sistema capitalista. Un doppio sguardo su meteo e clima, dal passato poetico degli annunci della Nebbia in Val Padana, al presente drammatico di territori e comunità trasformati dal climate change.

Come Sereno, altri libri illustrati, cartacei scientificamente impeccabili, parlano con piacevolezza di fenomeni fisici, celesti e non: ci sono ad esempio gli Atlanti editi da Nomos, Nuvolario, Ondario e Cometario, di Sarah Zambello e Susy Zanella, tutti usciti tra 2020 e 2023. Nuvolario si intitolava anche la raccolta di principi di nubignosia analitica e differenziale: trattato sulla tassonomia delle nuvole opera di un quarantaquattrenne Fosco Mariani che lo spacciò per atti del congresso immaginario di Nimbologia svoltosi nell’altrettanto immaginaria località di Trebisonda Marina nel 1956. Il volume, meritoriamente riedito dalla Nave di Teseo nel 2019, prevede una classificazione delle nuvole in classi e sottoclassi dai nomi che Maraini, già autore delle poesie metasemantiche della raccolta Gnosi delle fanfole inventò da par suo, come quelli delle Torme in Fuga, dei Torri Pimpinnacoli e Gloria o delle Imbacuccanti.

Bibliografia queste che starebbe, e di certo sta, benissimo in atro luogo fantasmagorico e inaspettato: è il Museo della Bora a Trieste, dove Rino Lombardi imbottiglia venti e intrattiene i visitatori con racconti di bora, e lo fa con grazia di altri tempi ma grande consapevolezza del presente, tanto che il piccolo museo (una stanza, un luogo dove entrare e ascoltare e immaginare) ha vinto il bando «pnrr tocc» aggiudicandosi l’incentivo «Transizione digitale organismi culturali e creativi» del Ministero della Cultura. Del resto il vento, come un contenuto web, è immateriale eppur capace di intervenire sul mondo in modo molto potente, nonché di sollevare in volo gli aquiloni di rilevazione meteorologica, secondo Fulvia Bernacca, strumenti che si rivelano ancora oggi più funzionali di certi droni. Il padre di Fulvia, Paolo, figlio di Edmondo Bernacca, sottolinea invece come la meteorologia sia «ancora una scienza ancora giovane e sempre più necessaria». Una risposta al quesito della poesia di Antonio Porta che in Watch the weather Change, si domandava «Ha un senso occuparsi di stagioni?» e concludeva «finché resisto al loro ciclo io scrivo».