Indomito, il Cavaliere non rinuncia a provarci. Contro l’età, contro la storia, contro ogni evidenza. Non importa se i sondaggi assegnano ormai all’antica portaerei azzurra il ruolo di un cacciatorpediniere utile, sì, ma certo non dell’ammiraglia. Per lui il centrodestra è e non può che essere Forza Italia.

MA FORZA ITALIA significa Silvio Berlusconi e dunque tocca a lui tenere banco dal palco sotto un sole da estate piena, senza proporre alla piazza piena nient’altro che se stesso e il sogno impossibile di riportare le lancette indietro di trent’anni. Come nel 1994 perché «il miracolo del ’94 si può ripetere» e si può ripetere perché lui c’è, è «di nuovo in campo» pronto a invadere come un tempo le tv in campagna elettorale, con la decadenza «incostituzionale» dal Senato alle spalle.

BERLUSCONI NON PUÒ vendere altro che se stesso e lo fa. Con l’aneddoto, probabilmente inventato, del giovane anticomunista picchiato perché affiggeva cartelli elettorali contro Stalin nella campagna elettorale del ’48, con i lucciconi per mamma Rosa, protettrice dall’alto, con il ricordo ruggente della televisione che portava felicità alle casalinghe inquiete degli anni ’80, del Milan trionfante che esaltava i tifosi, del partito azzurro nato dal niente e arrivato a spopolare con il suo dna «europeista, garantista, cristiano, liberale». E soprattutto «atlantista», perché il Cavaliere deve scrollarsi di dosso le ombre che lui stesso ha addensato con le dichiarazioni del giorno prima, tanto estreme da suscitare un filo di preoccupazione persino a palazzo Chigi, che di solito in materia di fibrillazioni antibelliche nella maggioranza resta imperturbabile.

NON COMBACIA con l’immagine eroica del guerriero tornato a combattere il leader che si arrampica sugli specchi e usa toni opposti a quelli del giorno prima cercando però di non smentirsi troppo: «L’Ucraina è un Paese aggredito e noi dobbiamo aiutarlo a difendersi». Anche con quelle armi che 24 ore prima chiedeva di non inviare? Se la cava glissando, sorvolando sull’argomento, ognuno capisca quel che vuol capire. «Forza Italia è e rimarrà sempre dalla parte dell’Europa, della Nato, dell’occidente, degli Usa». È la correzione di rotta che gli chiedeva una parte ampia del suo partito, anche se solo la ministra Maria Stella Gelmini era uscita platealmente allo scoperto, parlando da Firenze poco prima che il capo salisse sul palco di Napoli: «Oggi più che ascoltare le parole di Putin bisogna ascoltare il grido di dolore dell’Ucraina violentata e oppressa. Le parole di Berlusconi di ieri purtroppo non smentiscono la nostra ambiguità».

QUELLE DI NAPOLI, nonostante il tentativo di tenersi in equilibrio attaccandosi alla mano santa del Santo Padre o all’evocazione dell’incubo di «una guerra senza precedenti», invece smentiscono l’ambiguità. La sterzata è brusca quanto basta. Ma il prezzo è l’abdicazione al ruolo eterno di monarca incontrastato nel partito di sua proprietà. Nella sua pluridecennale carriera politica Silvio Berlusconi ha cambiato strada, si è rimangiato le parole e si è adeguato alle circostanze infinite volte. Non era mai successo però che dovesse farlo perché costretto dalla rivolta del suo stesso partito, o di una sua componente minoritaria ma essenziale: la delegazione al governo, che lo contrasta non solo sul fronte della guerra ma su ogni parvenza di affondo contro Mario Draghi.

L’ASSENZA di Gelmini in platea è eloquente. La scelta del capo di nominare ed elogiare solo Mara Carfagna ignorando gli altri due ministri azzurri lo è altrettanto. Ma la retromarcia innestata ieri è un fatto, anzi il fatto. Per la prima volta Silvio Berlusconi non è più padrone assoluto del suo partito. Il 1994 stavolta è davvero lontano. È confinato in quel passato aureo in cui Forza Italia , «partito alternativo alla sinistra ma distinto dalla destra», non faceva parte del centrodestra ma “era” il centrodestra. Anche se l’Intramontabile usa ancora l’indicativo: «È il centrodestra».