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Berlusconi-Murdoch, poltrona per due

Ri-Mediamo In breve: guai a considerare concluso il ciclo berlusconiano. Ammaccato nelle cose della politica, ma lesto negli affari, Berlusconi pare orientato a ridisegnare le sue mosse imprenditoriali, verso una presenza multipolare e un riassetto del capitale

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 6 maggio 2015

Ci ricorda Jacques Le Goff che la «ripartizione (del tempo in periodi, ndr) non è un mero fatto cronologico, esprime anche l’idea di un passaggio, di una svolta, se non un vero e proprio disconoscimento….» (2014). Ecco, la felice definizione sembra pensata per la relazione tra Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi.

Quando, sul finire degli anni Novanta – ormai del secolo scorso, in tutti i sensi- il tycoon di Arcore e «lo Squalo» (famosa la battuta del vicedirettore del Chicago Tribune, licenziato dal patron anglo-australiano, «un pesce per bene non si fa incartare da un giornale di Murdoch») si incontrarono, erano i due principi predestinati. La posta in gioco il Regno dei Media. Finì con una pareggio, essendo News Corp riuscita a sbarcare in Italia con la televisione a pagamento, Sky, ma senza intaccare davvero il duopolio Rai-Mediaset. La tv generalista era la Regina incontrastata e la pubblicità ancora in crescita rendeva particolarmente ghiotto il video di massa.

Berlusconi, con il suo irrisolto conflitto di interessi, riuscì a tenere la bacchetta da direttore d’orchestra, lasciando a Murdoch un ruolo di comprimario in un settore rilevante sì ma con ascolti non commensurabili.
L’ultima rimpatriata è esattamente il rovescio. L’ex Cavaliere, perso l’antico fulgore politico, si trova a fare i conti con il necessario passaggio di consegne familiari e la crisi delle vecchie strategie mediatiche. L’età dell’oro è in gran parte finita e i «barbari» della rete stanno abbondantemente occupando il villaggio globale e l’immaginario collettivo. Si parla da tempo dell’arrivo di Netflix e delle società nate e cresciute nell’ambiente digitale, quello che scalza la geografia classica del consumo ritmato dal palinsesto. Si intrecciano piattaforme diverse: il cavo, il telefono, le onde herziane e ha vinto lo slogan della prima Radio Montecarlo, «fate voi stessi il vostro programma». In tale contesto, Sky ha puntato sulla scena europea e sull’intesa (esclusiva?) con Telecom, proprio per usare la diffusione con la fibra. In tale temperie, il Berlusconi proprietario intende forse giocarsi la sua «spedizione in Crimea» con Mediaset Premium. E, forse, si profila un gioco degli specchi con Vivendi di Bolloré, prossimo socio forte di Telecom.

In breve: guai a considerare concluso il ciclo berlusconiano. Ammaccato nelle cose della politica, ma lesto negli affari, Berlusconi pare orientato a ridisegnare le sue mosse imprenditoriali, verso una presenza multipolare e un riassetto del capitale.

La sceneggiatura è in fieri e ne vedremo di cotte e di crude. Certamente, però, un filo accomuna pur sempre gli amici-nemici, vale a dire la consapevolezza che nella vera serie A giocano Amazon, Google e via dicendo: chi ha scommesso sul capitalismo cognitivo. Tutto ciò si intreccia con l’annosa vicenda della banda larga, che in Italia rimane in una zona grigia, dove sfuggono strategie e decisioni impegnative. Insomma, Murdoch si difende e Berlusconi cerca di evitare la svendita.

La scena è cambiata radicalmente e un buon ancoraggio sarebbe, ad esempio, sancire un convinto rapporto tra cinema e televisione. C’è molto da fare, come bene hanno segnalato i dati presentati dall’associazione delle industrie (Anica) e dal Ministero dei beni culturali. Si riparte dai contenuti. Chissà se la Rai batterà un colpo.

P.S. Il racconto dell’Opas di Ei Towers (su RaiWay) per ora è passata dalle magnifiche sorti e progressive alla cronaca giudiziaria. Così, per dire. Chiamiamolo pure, per comodità, capitalismo italiano.

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