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Berlusconi, l’ospite ingombrante

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La cerimonia Niente stretta di mano tra il presidente e l'ex cavaliere, che rispolvera il suo peggior repertorio

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 4 febbraio 2015

Depresso? Furioso? Macchè! Berlusconi si presenta al Quirinale col sorrisone dei giorni migliori, che poi sono spesso quelli in cui dà il peggio di sé. Come d’abitudine, non potendo dire apertamente ciò che pensa si affida alle gaffes studiate ad arte. Prima rispolvera il repertorio della peggior volgarità ironizzando sulla femminilità di Rosi Bindi, e stavolta rivolgendosi proprio a lei. Poi spiattella una barzelletta sui siciliani mafiosi proprio nel palazzo appena occupato da un siciliano col fratello ammazzato da Cosa Nostra. Non è improntitudine. E’ che i malumori contro quella sinistra Dc che è appena ascesa al Colle Berlusconi solo così può sfogarli, oppure evitando, come del resto fa anche Mattarella, di incrociare il presidente per aggirare imbarazzanti strette di mano. O ancora confermando apertamente, con la diretta interessata, quel che tutti sanno, e cioè che con Renzi Fi si era espressa a favore di Anna Finocchiaro: «Lo sai che noi facevamo il tifo per te».

Ma l’uomo è davvero di buon umore. Il partito è in brandelli, ma di quello ormai pochissimo gli importa. Gli basta tenere insieme la compagine necessaria per difendere, con le adeguate pressioni parlamentari, gli interessi suoi e dell’azienda, e il comando è certo di riconquistarlo. Tanto più in quanto proprio le divisioni del partito gli permettono di esercitare al massimo il proprio potere. Al Quirinale si presenta con a fianco il sempre fidatissimo Letta. Per Verdini ha solo parole cosparse di miele: «Della sua lealtà sono sicuro e resterà leale anche in futuro». Poi, per il pomeriggio, convoca il fedele in questione e l’infedele per definizione, Raffaele Fitto. Sono un problema quei due, da quando, pur su posizioni opposte in materia di Nazareno, hanno preso a cinguettare e a fare causa comune contro il cerchio magico, ufficialmente, ma in realtà con il reuccio stesso. «Questo è il momento dell’unità non della balcanizzazione», proclama il re-mediatore. Che Berlusconi riesca a salvare la situazione nei tempi brevi è probabile, che il collante resista più che qualche settimana quasi impossibile. Sono proprio i suoi fedelissimi a chiedere «che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, se non per il passato almeno per il futuro». Traduzione: non si tratta di cacciare nessuno, meno che mai Denis il sempre-fedele, ma di togliergli lo scettro e il ruolo di «amministratore delegato» del partito. Il colloquio tra i due è così allo stesso tempo positivo, perché di fratture dolorose non se ne parla, e teso, perché a mollare anche solo di un po’ Verdini non ci pensa per niente.

Va da sé che un partito così ridotto, comunque prosegua la guerra per bande che divampa al suo interno, può garantire ben poco all’ex socio Matteo Renzi. Tra la coppia del Nazareno il clima è meno teso del previsto, ma certo neppure amichevole. «Sei stato birichino», pizzica Silvio. «No, birichino sei stato tu», replica l’ex partner. Sta di fatto che i due birichini ormai sanno di non potersi più fidare l’uno dell’altro. E del Nazareno che ne sarà, di conseguenza? «Non so. Certo non voteremo più come abbiamo fatto in passato cose che non ci convincano pienamente», risponde diplomatico il tradito. E’ una dichiarazione che significa pochissimo. Inteso come accordo sulle riforme, il patto in questione non ha più ragione di esistere. E’ vero che la riforma costituzionale deve ancora passare al Senato per la seconda lettura, ma è escluso che gli azzurri possano cambiare il loro voto senza qualche modifica sostanziosa sulla quale intervenire senza perdere del tutto la faccia. Identico discorso vale per la riforma elettorale: ci sarà battaglia solo se Renzi modificherà la legge nel capitolo dedicato alle preferenze. Cosa che l’inquilino di palazzo Chigi non ha alcuna intenzione di fare.

Resta da capire cosa sarà del patto «ufficioso», quello che non riguardava solo le riforme ma garantiva al governo la stampella occulta di Fi, più volte rivelatasi preziosa al Senato. Lì si navigherà a vista, a seconda delle circostanze e delle convenienze. Renzi non se ne farà un cruccio. Per lui cercare le alleanze di volta in volta, pescandole tra la marea di senatori allo sbando, è la situazione ideale.

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