Berlusconi: «Electon day», Alfano minaccia la crisi
Governo Ora il leader del Pd marcia in accordo con il Colle
Governo Ora il leader del Pd marcia in accordo con il Colle
I suoi giurano che «Matteo non vuole le elezioni». Più probabilmente «Matteo» ha capito che le elezioni in primavera non sono alla sua portata e, da pragmatico, si è adeguato. Adeguarsi, in questo caso, vuol dire prima di tutto avviare un rapporto fecondo con Giorgio Napolitano. Detto fatto. I due si sono sentiti più volte, prima e dopo il discorso di capodanno, e di fatto un punto di intesa lo hanno già trovato: il governo può proseguire anche dopo maggio, ma deve essere chiaramente targato Pd (e per questo sarà fondamentale un rimpasto) e deve servire a lanciare Renzi, non ad affossarlo. Traduzione: governo e Parlamento devono varare alcune misure di fortissimo impatto concreto ma anche propagandistico. Napolitano ha fatto la sua parte con un discorso che, sotto traccia, bacchettava di brutta il «suo» governo. Renzi ha apprezzato.
Di più non poteva ottenere. La legge elettorale, nella migliore delle ipotesi, sarà in aula, alla Camera, per la fine di gennaio, e in febbraio al Senato. Un paio di passaggi, in questi casi, non si negano a nessuno e figurarsi alla più delicata fra le leggi. Seguirà ridisegno dei collegi, e votare a maggio sarà se non proprio impossibile almeno molto difficile. Di qui la sterzata del sindaco-segretario.
Ma quale legge sponsorizzare, il medesimo Matteo ancora non lo ha deciso. Anche per questo ne ha messe in campo tre. Nel mazzo, però, non ce n’è nessuna che possa mettere d’accordo tutti. A Berlusconi il metodo Renzi piace, lo ha detto a tutte lettere aggiungendo solo che «però ci vuole l’election day», accorpando politiche ed europee.
In Fi, Verdini vuole il sistema spagnolo, preferito anche da Grillo. Punirebbe più severamente i piccoli e dunque distruggerebbe il partito di Alfano. Ma nel partito non tutti sono d’accordo, anche perché renderebbe molto probabili nuove larghe intese. Brunetta tira al mattarellum, che ridimensionerebbe Alfano e lo costringerebbe ad aggiogarsi di nuovo al carro di Arcore. Mariastella Gelmini, fresca di nomina ai vertici del partito lombardo, difende il sistema spagnolo ma non esclude «l’apertura a nuovi modelli». Purché non si tratti del «modello dei sindaci»: quello per Fi è indigeribile. «Una mediazione – si allarga Minzolini – si trova, purché Renzi metta via l’idea del doppio turno, che non va bene a noi e neppure a lui, perché lo costringe ad allearsi col centro e lo espone a una scissione come quella che abbiamo già vissuto noi». Capita però che proprio quel sistema, indigeribile per Fi, sia l’unico che piace ad Alfano. «Siamo pronti a lavorare su quel modello», afferma come se le altre ipotesi nemmeno esistessero. Lo si può capire, quella legge è l’unica che premierebbe il suo partito. Per Renzi il punto critico è che premierebbe allo stesso modo i suoi nemici all’interno del Pd, la vecchia guardia, che sul fronte delle preferenze è fortissima.
Il punto di incontro più probabile resta dunque il mattarellum, sul quale convergerebbero, più o meno volentieri, tutti i tre i partiti maggiori. Circola ampiamente la tentazione di «correggerlo» assegnando una parte sostanziale della vecchia quota proporzionale (il 15% del totale) come premio di maggioranza. A Renzi, fino a poco tempo fa, l’idea non dispiaceva affatto. Presenta però non trascurabili problemi. Aggiungere a una legge già maggioritaria un robusto premio di maggioranza significherebbe riproporre il mattarellum con altro nome, senza contare l’eventualità concretissima che le motivazioni della sentenza della Consulta (che dovrebbero uscire intorno al 14 gennaio) boccino senza appello un esagerato premio di maggioranza. D’altra parte, l’eliminazione dello scorproro basterebbe a decurtare più che abbondantemente la quota proprozionale.
Tutto, insomma, spinge verso il mattarellum senza scorporo. Tranne il partito di Alfano e la sua minaccia di essere pronto anche alla crisi pur di evitarlo.
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