In apparenza conciliante e unitario. In sostanza inflessibile. Dopo un’infinita giornata passata con i duri, alla vigilia dell’ennesimo incontro con Alfano, fissato per la serata, Berlusconi porge il ramoscello d’ulivo. Offre al delfino la pace, ma alle sue rigide condizioni. Angelino il Prodigo può tornare all’ovile e se lo farà nulla impedisce la sua ri-nomina a erede designato. Può persino tenersi la poltroncina di vicepremier. Nessuno, per ora, gli chiede di sfiduciare il governo di cui fa parte. Però deve acconciarsi a fare quel che gli si ordina: accettare senza un fiato la metamorfosi da Pdl a Forza Italia, sottoscrivere il documento presentato dal capo alla riunione dell’Ufficio di presidenza disertata dai ministri, impedire che la legge di stabilità comporti nuove tasse, specie sulla casa, pena la fine dall’esecutivo.
Più ambigua la posizione sulla decadenza: nella nota partorita dal Cavaliere dopo la girandola di incontri (Fitto, Verdini, Bondi, poi Romano, Gasparri, Matteoli, Capezzone) non se ne fa cenno. Nelle condizioni arrivate ad Alfano si marca col pennarello rosso la richiesta di una posizione ultimativa sulla legge di stabilità, non sulla crisi dopo il voto del senato sulla Decadenza. In compenso nel documento che martedì sera Alfano non aveva voluto sottoscrivere e che ora Berlusconi gli propone di nuovo, la linea, in materia, non potrebbe essere né più chiara né più dura. Non è che, a 24 ore dallo schiaffone del voto palese, il quasi decaduto abbia deciso di ingoiare il rospo. Però sa che la legge di stabilità arriverà al pettine di palazzo Madama prima del famigerato voto (palese) e che, comunque, una volta accettato il passaggio a Forza Italia e sottoscritto il documento dell’Ufficio politico, Alfano non potrà più tornare indietro.
La mossa berlusconiana, una volta scremata dagli appelli all’unità e dagli espedienti retorici, è tutta nella decisione di anticipare il Consiglio nazionale, al “prima possibile”, termine che potrebbe indicare il 9 o molto più probabilmente il 16 novembre. Comunque prima del voto sulla decadenza e di quello sulla legge di stabilità. Lo stesso accorato appello all’unità «chiesta dagli elettori e dai militanti» è un monito secco rivolto a chi pensa di dare battaglia contro la trasformazione del Pdl e ad Alfano perché non si mischi con detta teppaglia. La stessa soddisfazione espressa dal capo perché il suo documento «è già stato sottoscritto da un’amplissima maggioranza dei componenti del nostro Consiglio nazionale» veicola un messaggio meno mielato di quel che appare: i nemici di Forza Italia perderanno comunque. La loro è una causa persa ed è anche la via più diretta per ritrovarsi in brevissimo tempo fuori dal solo partito di centrodestra con fondi cospicui e solidi consensi elettorali. Qualcuno lo farà di certo, e Berlusconi non si dorrà più che tanto per la dipartita. Alfano però deve scegliere, è l’ultima occasione che il monarca gli lascia per tornare nelle sue grazie.
Alfano, che ieri aveva a sua volta incontrato Letta e Saccomanni, sembra deciso a resistere. La strategia che ha illustrato al premier e al ministro dell’Economia non implica rese. Il forse ex delfino è convinto che, una volta messo fuori dal Senato Berlusconi, il tempo giocherà a suo favore. I duri diventeranno sempre più radicali, del tutto estranei alla realtà concreta che interessa gli elettori moderati. Berlusconi sarà troppo occupato a fronteggiare i suoi guai di detenuto, pur se affidato ai servizi sociali, per pensare alla politica. A quel punto il vento gonfierà le vele dell’ala moderata Pdl e del suo leader, Alfano Angelino. Ma occorre almeno un anno di tempo, l’opposto di quello a cui mira l’ex premier che punta alla crisi al più in primavera.
Dunque Alfano arriva a palazzo Grazioli per resistere e per contrattaccare. Nessuna firma sotto il documento di Berlusconi, e anzi richiesta esplicita di riconoscere che nel partito ci sono due linee e due leader, Silvio il Vecchio e Angelino il Giovane. Infine il vicepremier è pronto a dire chiaro e tondo che il voto sulla decadenza non comporterà il voto di sfiducia al governo da parte delle sue colombe. Gli estremi per una rottura ci sono tutti. Forse per arrivare a quella scissione del Pdl, nell’ordine delle cose già dal 2 ottobre, non bisognerà aspettare il Consiglio nazionale.