Bergoglio prende tempo, «i tradizionalisti hanno ottenuto il loro scopo»
Intervista al professor Daniele Menozzi «Il papa prende atto che in questo momento gli equilibri ecclesiali non consentono di realizzare i mutamenti che gli hanno chiesto i settori ecclesiali cui pure si mostra simpatetico. Probabilmente è la costatazione del limite invalicabile cui è giunto il suo governo e un passaggio di consegne al successore»
Intervista al professor Daniele Menozzi «Il papa prende atto che in questo momento gli equilibri ecclesiali non consentono di realizzare i mutamenti che gli hanno chiesto i settori ecclesiali cui pure si mostra simpatetico. Probabilmente è la costatazione del limite invalicabile cui è giunto il suo governo e un passaggio di consegne al successore»
Dire sì ai preti sposati in Amazzonia avrebbe rischiato di provocare uno scisma nella Chiesa cattolica romana. Per questo il pontefice si è fermato prima e, in un certo senso, ha consegnato la questione al suo successore, quando i tempi, forse, saranno maturi per una simile scelta.
È la lettura dell’esortazione postsinodale di papa Francesco da parte di Daniele Menozzi, professore emerito di Storia contemporanea alla Normale di Pisa e studioso del papato in età moderna e contemporanea.
Professor Menozzi, come interpreta la chiusura del papa alla possibilità di ordinare preti anche i diaconi permanenti sposati, come aveva proposto il Sinodo dei vescovi dell’Amazzonia?
L’esortazione fin dalle battute iniziali avverte che non intende affrontare tutte le questioni presenti nel documento finale del Sinodo, ma trattare quelle che riflettono le principali preoccupazioni attuali del papa. Il silenzio sul celibato significa solo che Bergoglio non ritiene che il tema del celibato sia una questione centrale nell’odierna situazione della Chiesa universale. Al contempo l’esortazione insiste sulla specificità delle molteplici inculturazioni che il messaggio della Chiesa assume nello spazio e nel tempo. È il riconoscimento della grande varietà di assetti che le chiese locali possono assumere in relazione ai loro peculiari contesti. In tal modo si lascia aperta la porta a un futuro mutamento disciplinare in materia.
Nel documento prima si rileva la centralità dell’Eucaristia e le difficoltà di molte comunità delle zone più remote dell’Amazzonia di celebrarla per mancanza di preti, poi però si ribadisce che solo i preti possono dire messa: non è una contraddizione?
Il papa afferma che un mutamento in ordine al nesso tra sacramento dell’ordine e presidenza dell’eucarestia costituirebbe un cambiamento che non sarebbe recepito a livello della Chiesa universale. Pur mostrandosi consapevole del problema, intende avvertire che la soluzione proposta nel documento sinodale in questo momento metterebbe in questione l’unità ecclesiale.
Nemmeno per le donne sembrano esserci spazi in più rispetto a quelli attuali. È così?
La chiusura sull’ordinazione femminile si accompagna a due aperture, peraltro già presenti nel precedente insegnamento del papa: si raccomanda che le donne accedano alla responsabilità del governo delle comunità ecclesiali, mentre ora svolgono prevalentemente ruoli di sevizio; e si invita all’approfondimento teologico perché si trovino nuove funzioni ad esse riservate in grado di valorizzare pienamente la loro presenza ecclesiale.
Non le sembra che nell’esortazione emerga una forte continuità con il magistero dei predecessori di Francesco, papa Ratzinger e soprattutto papa Wojtyla?
Non si registrano arretramenti rispetto alle posizioni riformiste espresse in precedenza, non vengono però sviluppate e tradotte in misure concrete. Di fronte al montare di un’opposizione che la presenza di un papa emerito, abilmente strumentalizzato anche da settori della curia romana, rende pericolosa per l’unità della Chiesa, Francesco si dilunga a spiegare agli oppositori le ragioni che giustificano le scelte compiute. Si può dire che i tradizionalisti hanno ottenuto il loro scopo: impedire al processo riformatore di avanzare; ma il progetto di neo-cristianità alimentato da Giovanni Paolo II e, ancora più, da Benedetto XVI è definitivamente tramontato.
Alla fine del documento, il papa fa cenno al dibattito di questi mesi, con un implicito riferimento al nodo preti sposati sì-no, e spiega che «il conflitto si supera ad un livello superiore». Le sembra che questa sintesi superiore alla emerga?
Non c’è alcuna sintesi superiore, ma non c’è nemmeno una scelta conservatrice. Penso che il papa prenda atto che in questo momento gli equilibri ecclesiali non consentono, per evitare una lacerazione all’interno della Chiesa, di realizzare i mutamenti che gli hanno chiesto i settori ecclesiali cui pure si mostra simpatetico. Quel passo significa un invito a lavorare per superare le opposizioni e trovare una soluzione. Probabilmente è la costatazione del limite invalicabile cui è giunto il suo governo e un passaggio di consegne al successore.
In estrema sintesi: è la vittoria dei fautori della tradizione e la sconfitta dei riformatori?
No. I tradizionalisti hanno ottenuto di bloccare lo sviluppo del processo riformatore, ma i presupposti culturali del processo sono pienamente ribaditi nel documento. Penso che il papa sia convinto che occorra una lenta opera di maturazione all’interno della Chiesa perché la riforma possa riprendere il suo corso.
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