Visioni

«Benvenuti In Galera», il piacere di cucinare per riprendersi la vita

«Benvenuti In Galera», il piacere di cucinare per riprendersi la vitaUna scena da «Benvenuti In Galera»

Al cinema Michele Rho racconta la scommessa del ristorante, nato nel carcere di Bollate, dove lavorano i detenuti

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 11 gennaio 2024

In Galera è il nome di un ristorante che si trova nella II Casa di Reclusione Milano Bollate. Ottimamente recensito sia su pagine di giornali internazionali sia su riviste specializzate, frequentato da una vasta clientela, questo eccentrico locale è un esperimento che non ha precedenti in tutto il mondo e che procede in direzione contraria all’immaginario collettivo che abbiamo degli istituti di detenzione e, soprattutto, rispetto a una realtà quotidiana che trasmette di continuo drammatiche notizie di suicidi, abusi, torture e di riscatti mancati, di persone che escono dalla cella per farvi immediatamente ritorno, come se fossero intrappolate in un circolo vizioso dell’esistenza. Una specie di portale che sorprendentemente collega un interno ermeticamente chiuso a un esterno privo di punti d’accesso. Una piccola utopia che fa dialogare il presente con il futuro e che si oppone a orrendi giustizialismi.

Un’utopia contro il giustizialismo, un incontro fortuito di idee preziose

IL PERSONALE è assunto con un colloquio di lavoro durante il quale il motivo della pena non è mai oggetto di discussione. Lo diventa, talvolta, con gli avventori che, incuriositi dalla situazione, pongono domande senza pensare a quanto doloroso possa essere lo sforzo di fornire una risposta su un passato che si vorrebbe, più che dimenticare, superare con nuove esperienze, cercando di rimettersi in cammino tra ambizioni e speranze.

«Qual è il reinserimento? Il detenuto ha quattro gambe, cinque mani, sette occhi, due teste, tre nasi? Il detenuto non ha famiglia? Il detenuto non si innamora? Il detenuto non ha figli? Cos’è il reinserimento, cosa vuol dire? Il reinserimento, è perché ha ripreso a uscire? È la società che non è pronta. Ma il carcere non rieduca. Il carcere non insegna niente». A domandare e parlare con toni amari e provocatori è Davide, lo chef che si è ripreso una parte della sua vita indietro, tra fornelli e pietanze, ingredienti e ricette, duri rimproveri e sorrisi giocosi, creando connessioni tra cibi e persone. Ed è anche uno dei protagonisti di Benvenuti In Galera, documentario scritto e diretto da Michele Rho che, dopo l’anteprima fuori concorso a Filmmaker Festival, è in programma da stasera alla Cineteca Milano Arlecchino, per poi essere proiettato negli istituti circondariali in presenza dei detenuti.

«NON SONO un grande comunicatore, non mi piace la compagnia. Se devo avere gente attorno, preferisco avere gente a tavola che mangia. Allora lì sono un grande comunicatore». Davide in cucina cerca qualcosa che sia più di uno stipendio e di un lavoro. E in un incontro fortuito forse è riuscito a rintracciare il proprio demone, a dargli un senso. Silvia Polleri, l’altra protagonista del film, è la persona che ha ideato In Galera sollecitata dalle istituzioni del carcere di Bollate. Dopo dieci anni a condurre un catering, ha scelto un sentiero che non era nelle sue mappe. E ha trovato in uno chef che aveva studiato nella scuola di Gualtiero Marchesi, il suo sodale, il complice che sembrava ormai perso in una palude.
Benvenuti In Galera è dunque una storia di imprevisti e di ricostruzioni, di idee purtroppo poco praticate, di individui che provano a sovvertire regole di un gioco concepite solo per far perdere chi vi partecipa. Il documentario, girato in bianco e nero e in un arco temporale di circa tre anni (tra il 2019 e 2022, perciò con il Covid-19 e la conseguente pandemia che ha messo tutto in serio pericolo), racconta le vicende di chi si è dato un’occasione per tornare alle proprie origini, cioè quando non era ancora il detenuto con un’interminabile pena da scontare dentro e fuori dal carcere. E se per certi versi Silvia e Davide hanno realizzato qualcosa che sapevano già fare, per altri si è trattato di scoprire l’inedito, di vedere se stessi in una versione inaspettata e imprevedibile.

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