Sono già più di cento, sono giovani e hanno già dato un volto nuovo al parlamento italiano, ponendo all’ordine del giorno la legalizzazione e la depenalizzazione della marijuana. Si è riunito ieri per la prima volta l’intergruppo di cui fanno parte deputati e senatori del Pd, del Movimento cinque Stelle, di Sel, di Alternativa libera, di Scelta civica e uno, uno solo del centrodestra: sempre lui, il liberale Antonio Martino di Forza Italia.

A guidare la pattuglia di illuminati è il sottosegretario agli Affari esteri Benedetto della Vedova, Radicale di ferro passato da Scelta civica al Gruppo misto, che su questi temi si batte da almeno vent’anni, protagonista con Marco Pannella e Rita Bernardini di clamorose azioni di disobbedienza civile quando ancora negli Stati uniti vigeva il pensiero unico della war on drugs, e a condividerlo in Italia c’erano perfino i comunisti. Oggi è tutto cambiato, di sicuro non è più il parlamento che nel 2005 riuscì a infilare in un decreto sulle Olimpiadi invernali una legge, la Fini-Giovanardi (approvata nel 2006 perfino dalle commissioni Affari costituzionali) che, dopo anni di arresti, persecuzioni e pure morti in carcere, è stata finalmente spazzata via un anno fa dalla Consulta per manifesta incostituzionalità.

Sottosegretario, perché dopo tanti anni ha deciso che questo era il momento?
Le ragioni per una scelta antiproibizionista sulla cannabis sono rimaste intatte, anzi sono aumentate: dopo la svolta pragmatica di tanti stati americani che hanno capito il fallimento della war on drugs – un segnale molto forte in un paese di tradizione proibizionista che oggi vede gli effeti positivi della legalizzazione -, la spinta finale è stata la presa di posizione della Direzione nazionale antimafia che mi ha portato a prendere l’iniziativa sul piano parlamentare. La risposta che c’è stata, con centinaia di parlamentari che hanno aderito o aderiranno a breve direi che è la testimonianza che i tempi sono ormai maturi.

(La “svolta” della Direzione nazionale antimafia, va ricordato, è contenuta nell’ultima relazione annuale: in materia di droghe, scrive la Dna, «si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva», visto che il quantitativo sequestrato «è di almeno 10/20 volte inferiore a quello consumato», e «con le risorse attuali, non è né pensabile né auspicabile», «impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale», perciò il legislatore valuti «una depenalizzazione della materia», ndr).

Come è andata la prima riunione dell’intergruppo?
Abbiamo definito solo un po’ gli obiettivi di massima, primo tra tutti il fatto che questa è un’iniziativa parlamentare senza alcun interesse a diventare un tema di maggioranza o di opposizione. Non ci interessa affatto, perché la materia è trasversale come lo è l’intergruppo, anche se per il momento c’è solo un parlamentare del centrodestra ma altri sicuramente ne arriveranno. Il nostro obiettivo è di arrivare a un disegno di legge che parta già con un ampio sostegno alle camere (e già così ci siamo, direi) e che nelle nostre intenzioni avrà un iter parlamentare.

Ci sono al momento alcune proposte di legge sulla marijuana terapeutica e quelle sulla depenalizzazione del M5S e di Sel (che l’ha presentata mercoledì alla Camera, e che «contempla la libertà della coltivazione della cannabis per uso personale o collettivo, con la necessità di una regolamentazione da parte dello Stato del relativo mercato in linea con i percorsi antiproibizionisti» avviati in Uruguay, Colorado, Washington, Oregon, Alaska, Spagna e in diversi altri Paesi, ndr). Partiremo da qui e da quelle che arriveranno. Poi ci rivedremo a metà aprile.

Insomma un approccio pragmatico, quello che lei propone?
Guardi, lei mi ha chiesto come mai ora si è riusciti a costruire l’intergruppo parlamentare? Io credo che andando avanti così l’unica cosa che non cambia saranno i soldi alle mafie quindi parlare di legalizzazione significa avere un approccio più razionale e meno ideologico, simile a quello che usiamo con altri consumi nocivi: regolamentazione, tasse, campagne di dissuasione, informazione sugli effetti. Anziché investire in sicurezza senza alcun risultato che poi vuol dire solo grande dispendio inutile di energie e soldi per polizia, processi, carceri… Poi io credo che si sia un fatto generazionale anche in Parlamento, con la rappresentanza di generazioni di italiani che sono ormai cresciuti e hanno vissuto conoscendo bene la diffusione del consumo di cannabis nella popolazione. Credo che sia un’informazione che si stratifica in qualche modo e diventa patrimonio culturale di tutti.