All’epoca della Seconda Guerra Mondiale, la città giapponese di Hiroshima nell’isola di Honshu era abitata da circa duecento cinquantacinque mila abitanti.

Alle ore 8 e 15 del 6 agosto del 1945 fu distrutta dalla prima bomba atomica lanciata da un aereo degli Stati Uniti d’America. Il proiettile era stato battezzato dagli aviatori con lo scherzoso nome di Little Boy, ‘ragazzino’.Sull’isola di Kyushu sorge la città di Nagasaki. Per un cinquantennio, tra il 1568 e il 1624, il porto di Nagasaki fu aperto ai commerci con l’Europa e vi crebbe allora una fiorente comunità cristiana. Il 9 agosto del 1945, tre giorni dopo la distruzione di Hiroshima, gli americani sganciarono su Nagasaki la seconda bomba atomica, questa designata col nomignolo Fat Man, ‘grassone’.

Le due bombe hanno causato tra le novantamila e le cento sessantasei mila vittime a Hiroshima, e tra le sessanta mila e le ottanta mila a Nagasaki.
Il successivo 11 agosto, Benedetto Croce pubblica sul quotidiano «Il Risorgimento» di Napoli un breve articolo, La disgregazione dell’atomo e la vita dell’uomo, una nota che Croce aveva stilato il giorno 8, non appena appresa la notizia della bomba atomica su Hiroshima. Scrive: «L’ottenuta disgregazione dell’atomo non è stata salutata con giubilo universale, ma accolta, se non generalmente, da larghe correnti del pubblico sentimento, con inquietudine e tristezza, e perfino con orrore».

L’inquietudine, la tristezza e l’orrore, da quell’agosto del 1945, si sono depositati come una cortina sul mondo intero, a contrassegnare lo stato d’animo di quanti sono consapevoli di quale sia il rischio nucleare insito oggi in ogni conflitto armato. In questi trascorsi settantotto anni da allora, mai le armi sono state deposte e in nessuno dei continenti. Negli ultimi mesi poi, dal 24 febbraio del 2022, si sostiene dai governanti del pianeta che ogni salvezza dell’uman genere sta nel ricorso alle armi e che il destino dell’uomo, grazie al suo genio inventivo è garantito dagli strumenti che uccidono e dai mezzi che consentono la moltiplicazione delle capacità distruttive, proprio come ci hanno insegnato Little Boy e Fat Man a Hiroshima e a Nagasaki.

Benedetto Croce prosegue nel suo ragionamento argomentando che: «Le scoperte della scienza non sono luci di verità, della sola verità che è quella che rischiara e fortifica, quella che giova all’anima, e che non gli scienziati inventori apportano, ma solo i genî religiosi, filosofici e poetici, che si chiamino Gesù di Nazareth o Socrate, Omero o Shakespeare. Essi soli ci creano interiormente uomini». E, constata, «le scoperte delle scienze naturali accrescono, come Bacone voleva, il dominio dell’uomo sulle cose, cioè la potenza delle mani e non dell’anima dell’uomo, e l’animale sapiens armano sempre più di sapienza, grande ma altrettanto pericolosa. A parare il pericolo, e a trarre dalle scoperte scientifiche il bene che possono dare, si richiede non solo un proporzionato ma un superiore avanzamento dell’intelletto, della immaginazione, della fede morale, dello spirito religioso, e, in una parola, dell’anima umana».

Si tratta di un convincimento che Benedetto Croce ha modo di ribadire nel settembre del 1947 in occasione di certe Rencontres filosofiche che si svolsero a Ginevra. Croce, impossibilitato a partecipare di persona, inviò un suo intervento scritto sul tema Progresso tecnico e progresso morale dove si legge che «la genuina morale, che governa anzitutto sé stessa, è la forza che di continuo ristabilisce l’unità dell’anima umana, l’armonia delle forme varie della vita, e vieta a ciascuna di tentare abusi oltre di sé o di ammetterne entro sé stessa».

E continua: «Si potrà dire che, nel rammentare queste ovvie proposizioni filosofiche, si perde di vista il senso vero del problema, che non è teorico ma storico, e anzi di vita attuale, perché tutti vedono che la tecnica e i suoi ritrovati soverchiano e soffocano la civiltà e celebrano gli orrendi loro trionfi nelle guerre distruggitrici».

La risposta di Croce, ancora una volta è netta: «L’unico rimedio che lo spirito umano possiede e al quale si rivolge spontaneo è di mantenere e di rinvigorire in sé il principio armonizzatore, la vita morale».