Pochi scossoni arrivano dalle elezioni europee in Svezia, dove i principali partiti mantengono le loro posizioni. I Socialdemocratici guidati dal primo ministro Stefan Löfvén, pur in calo, si confermano la prima forza politica del paese con il 23.6% dei voti. Seguono a netta distanza i Moderati, principale partito dell’opposizione di centrodestra, con il 16.8%. La destra nazionalista dei Democratici di Svezia (Sd) resta al terzo posto con il 15.4% dei voti: i suoi leader hanno festeggiato la vittoria (le foto della dirigenza del partito che balla il trenino osservando il conteggio dei voti hanno fatto il giro dei giornali), ma in realtà la crescita è significativa soprattutto rispetto alle europee di cinque anni fa (dove avevano il 9.8%), mentre il risultato rappresenta una battuta d’arresto rispetto al 17.5% raggiunto alle politiche dell’anno scorso. Gli Sd crescono ma non sfondano, anche se ai loro cavalli di battaglia viene data grande visibilità dalla stampa estera, che spesso insiste sull’insicurezza di presunte no-go-zones nelle città svedesi e su un’immigrazione descritta come fuori controllo: tra questi risalta un servizio del nostro Tg2, contestato addirittura in una nota ufficiale dell’ambasciata svedese in Italia pochi giorni fa. Il buon risultato dei Cristiano-Democratici (8.7%), che ultimamente si sono radicalizzati a destra su temi come l’immigrazione e l’aborto, potrebbe aver parzialmente frenato la crescita dei nazionalisti.

A seconda che si confrontino i dati con le scorse europee o con le politiche dell’anno scorso, la diagnosi sulle tendenze in corso può cambiare notevolmente. Domenica sera anche i Verdi hanno tirato un sospiro di sollievo, soddisfatti del loro 11.4%, che rappresenta un calo di quasi 4 punti percentuali rispetto alle scorse europee, ma può essere considerato un successo rispetto al risultato delle politiche, dove il partito aveva rischiato di non superare lo sbarramento del 4%. È piuttosto sorprendente che, proprio nella patria di Greta Thunberg, dove la mobilitazione del movimento Fridays for Future resta viva, l’onda verde si sia fatta sentire meno che in altri paesi europei. Va però osservato che le questioni ambientali e climatiche hanno dominato l’intera campagna elettorale, e sono state al cuore del dibattito tanto a sinistra quanto nei partiti più esplicitamente europeisti, come il Partito di Centro (10,8%, in netta crescita) e i Liberali (4.1%, invece in calo e appena sopra il quorum), che forniscono un appoggio esterno al governo Löfvén, a cui hanno impresso una svolta liberista.

A sinistra, l’annunciato crollo di Iniziativa Femminista, il partito fondato poco prima delle europee del 2014 e il cui inaspettato successo aveva permesso di eleggere l’attivista per i diritti rom Soraya Post, non è stato compensato dal timido avanzamento del Vänsterpartiet (partito di sinistra), che con il 6.7% dei voti elegge nuovamente un rappresentante a Strasburgo ma resta al di sotto del risultato delle ultime politiche, e soprattutto dei sondaggi più ottimisti che lo davano anche oltre il 10%.

La rappresentanza svedese al Parlamento europeo (20 seggi in totale) dovrebbe quindi essere composta da 5 socialdemocratici (S&D), 4 moderati e 2 cristiano-democratici (Epp), 3 democratici svedesi (Ecr), 2 centristi e 1 liberale (Alde), 2 verdi (Greens/Efa) e 1 di sinistra (Gue/Ngl). Significativo è anche il dato dell’affluenza in crescita: ha votato il 53.3% degli aventi diritto, il tasso di partecipazione più alto mai raggiunto in Svezia per le europee. D’altra parte i sondaggi dimostrano un orientamento sempre più europeista dell’elettorato: nell’ultima rilevazione di novembre 2018, il 58,6% degli intervistati si dichiarava a favore dell’appartenenza all’Ue. Questa tendenza di lungo periodo si riflette anche nella scelta di abbandonare ogni opzione di Swexit: scelta ufficializzata pochi mesi prima delle elezioni sia dagli Sd che dal Vänsterpartiet, le ultime due forze che, pur dai due poli opposti dello spettro politico, mantenevano un atteggiamento euroscettico. Il crescente europeismo non ha in ogni caso impedito che la campagna elettorale restasse concentrata su temi nazionali, dalle leggi ambientali alle paventate riforme sul diritto di sciopero.