Editoriale

Bene i giudici, ora in Calabria torni la politica

Calabria C'è bisogno di una profonda rivoluzione culturale nelle città del nostro Sud, stremate dalla malapolitica locale e nazionale, e dal cinismo della Troika

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 29 marzo 2014

La condanna del governatore della Calabria era nell’aria, molti se l’aspettavano. E da un bel po’ di tempo, esattamente dopo il suicidio (?) di Orsola Fallara – l’ex braccio destro del sindaco Scopelliti – che a Reggio Calabria cresceva il malcontento. Si era scoperto che il Comune era sommerso dai debiti e che a pagare il conto erano chiamati i cittadini (con le imposte locali portate all’aliquota massima ed i servizi pubblici sull’orlo del fallimento). Fino al 2011 Scopelliti, per gli amici Peppe, era un mito per i reggini che gli avevano dato quasi il 70 per cento dei consensi per la rielezione nel 2007. Tre anni dopo era diventato il primo presidente della Calabria di origine reggina, una regione sempre retta dall’asse Catanzaro-Cosenza che per altro ha sempre espresso nel dopoguerra le figure politiche più importanti: da Misasi a Pucci a Mancini, per nominare i più famosi. I reggini avevano avuto Ciccio Franco, il capopopolo della rivolta del 1970, candidato con il Msi nel 1972, forte del 40 per cento dei voti, ma inesistente a livello nazionale. Da quel momento la città era precipitata in una crisi economica, sociale e, soprattutto morale, con la scomparsa dello Stato ed un tasso di illegalità altissimo che aveva spalancato le porte alla ‘ndrangheta che si impadroniva della città e, successivamente, ingaggiava una guerra, per il dominio del territorio, lunga sette anni, con settecento morti ammazzati.

Poi, improvvisamente, un raggio di sole spuntò dalle montagne dell’Aspromonte e la città conobbe una stagione felice, “la primavera reggina” del sindaco Falcomatà. Durò poco e con la morte improvvisa di Italo Falcomatà vinse di stretta misura il giovane Peppe Scopelliti, già leader del Fronte della Gioventù, e pupillo di Gianfranco Fini. I primi anni furono difficili per il giovane sindaco che non reggeva al confronto con la gestione precedente, ma ebbe il coraggio di rischiare e giocarsi il tutto per tutto: spesa pubblica a gogo e una rete clientelare che cresceva come una spadara (le grandi reti illegali che vengono usate tra le isole Eolie).

Il cosiddetto “modello Reggio” era basato su un’antica massima romana sempre efficace: panem et circenses. Spese pazze per gli spettacoli che animavano l’estate reggina (solo a Rtl più di un milione di euro per la diretta dal lungomare reggino), invito a star della tv per passeggiate (costosissime) come testimonial sul Corso Garibaldi, grandi cantanti e tanti giochi d’artificio per l’estate. E naturalmente anche un po’ di pane per gli amici degli amici. Il tutto sostenuto da una gestione senza limiti, morali e legali, della finanza comunale.

Oggi, che giustizia è stata fatta, che la gente può ancora credere che esiste uno Stato, c’è il rischio di dimenticare il recente passato, di salvarsi la coscienza dando tutta la colpa a Scopelliti. Ma il 70 per cento che l’ha votato nelle elezioni comunali e regionali, che ha goduto di prebende ed intrallazzi, non può autoassolversi. Bisogna che i cittadini riflettano. Non serve questa condanna del sindaco-governatore se non ci sarà una profonda rivoluzione culturale in questa come in altre città del nostro Sud, stremate dalla malapolitica locale e nazionale, e dal cinismo della Troika. Come diceva il sindaco di Messina, Renato Accorinti, durante la sua campagna elettorale, «non vi posso promettere niente, ma posso dirvi che sarò al vostro fianco per fare rinascere la nostra città». Ed ha vinto contro otto partiti che sostenevano il candidato del potentissimo Francantonio Genovese (il deputato per cui è stato chiesto l’arresto).

Non basta la magistratura e a poco servono i commissariamenti dei Comuni, della Asl, o della gestione rifiuti. La Calabria ha un record nazionale di commissariamenti. La crisi economica e morale che attanaglia tutta l’Italia, e che nel Mezzogiorno ha distrutto quel poco di buono che si era costruito in passato, non può avere altra risposta se non un cambiamento profondo che metta fuori gioco la borghesia mafiosa e parassitaria che governa questi territori da troppo tempo. Come scriveva Bertolt Brecht: quando la casa brucia non domandarti che tempo fa fuori.

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