«Nigora era una giovane sarta uzbeka. Viveva in due locali spogli a Beltepà, un quartiere molto povero all’estrema periferia di Tashkent. Era una brava modellista, si manteneva cucendo abiti. La suocera l’aveva ripudiata, e lei era stata costretta ad andarsene con i suoi due bambini piccoli. Una decina di anni fa, in Uzbekistan se facevi un torto alla madre di tuo marito, lei poteva punirti. Ora il Paese è molto cambiato». Così racconta Antonella Alotto, ospite del prestigioso Festival Atlas Bayrami che si è tenuto dal 20 al 22 ottobre a Margilan, il centro di produzione tessile nella fertile Valle della Ferghana.

Nel 2015 la designer torinese ha dato avvio a un’attività di produzione e commercio di cappotti, giacche e abiti estivi utilizzando i tessuti tradizionali dell’Uzbekistan: ikat di seta e velluto di seta, e anche qualche stoffa mista di seta e cotone. «L’altezza è di soli 40 centimetri, sono quindi molto difficili da lavorare. Anche per questo motivo, ho sempre collaborato con le sarte in Uzbekistan, per poi ultimare i capi a Torino. Inizialmente mi appoggiavo a un grande laboratorio a Tashkent, nel quartiere Chilanzar. Quella sartoria era diretta da Lina, cittadina uzbeca di etnia russa con un diploma in moda a Mosca. Con lei lavoravano sette donne, per lo più uzbeche ma anche appartenenti alla minoranza tatara qui deportata da Stalin: la popolazione dell’Uzbekistan è una mescolanza di genti».

«Per la tessitura mi appoggiavo a un gruppo di donne di Margilan che lavoravano in un capannone dove portavano con sé i bambini, consumavano insieme i pasti e cantavano. Lì quelle donne – che avevano il permesso del marito di uscire di casa – avevano qualche spazio tutto loro. Con la pandemia di Covid-19 il gruppo di Margilan si è dovuto sciogliere, e anche a Tashkent Lina ha dovuto abbandonato il laboratorio di cui non era più in grado di sostenere i costi. Ora Lina taglia i tessuti, le donne passano a ritirare da lei e poi cuciono a casa propria. Quei momenti di libertà sono venuti meno», commenta Alotto che al Festival di Margilan ha organizzato una sfilata e discusso di «The magic mix of Uzbekistan and Italy on the Silk Road» nell’ambito dell’incontro con altri designer provenienti da Olanda, Stati Uniti, Turchia, Corea, Mongolia e Cina.

Sono settemila le aziende che, in Uzbekistan, operano nel settore tessile creando il 4,7 percento del PIL. Pur non essendo così importante rispetto al PIL, il settore artigianale è comunque rilevante per l’immagine del Paese e quindi per il turismo. Per questo, le autorità lo promuovono e l’evento di Margilan, patrocinato anche dall’Unesco, ne è la prova. Ad avvicinarsi ai tessuti ikat, tipici di questo Paese dell’Asia centrale, sono stati anche grandi stilisti come Giorgio Armani, ma hanno rinunciato perché il materiale a disposizione sul mercato è limitato: «Sono tessuti a mano, con filati naturali. Ogni donna riesce a tesserne al massino un metro al giorno. Troppo poco per soddisfare la domanda di un grande brand. Per far conoscere in Occidente questi tessuti occorre costruire un mercato di nicchia, selezionare il materiale migliore e disegnare modelli di uno stile che ne valorizzi la bellezza e sia facilmente proponibile sul mercato internazionale».

Il marchio di Antonella Alotto si chiama Beltepà, come il quartiere di Tashkent, la capitale uzbeca dove viveva Nigora. Si trova nei pressi del mercato Chorsu, caratterizzato da cupole azzurre che richiamano quelle delle madrase, le scuole religiose. È il mercato all’ingrosso e al dettaglio più grande dell’Asia centrale, dove si comprano alimentari e prodotti di artigianato.

Beltepà è il nome di una piccola azienda al femminile, a cui collaborano le figlie Giulia e Cecilia. Una realtà in crescita: il 18 novembre (ore 18) saranno al Circolo dei Lettori di Torino e dal 5 al 12 dicembre presenteranno la collezione nello showroom Apropo Studio di New York (13-15 West 28th Street). Beltepà è anche un omaggio a una persona che ha lasciato il segno: «A presentarmi Nigora era stata una studentessa di mio marito Andrea De Marchi, professore di fisica al Politecnico di Torino e Rettore della sede di Tashkent. Dal 2014 al 2018 abitavamo in pianta stabile a Tashkent. Nigora era piccola e bruna, non portava mai il velo. Quando l’ho vista con il capo coperto le chiesi che cosa fosse successo. Pensavo avesse fatto un voto, talvolta succede. E invece si era ammalata di tumore al seno, aveva perso i capelli con la chemio. Per questo aveva scelto di indossare il foulard. È mancata nel 2018, i bambini sono andati a vivere con i nonni materni».