Belli gli amori illeciti, ma meglio il pane e formaggio
Classici inglesi Uscito a puntate tra il 1864 e il 1865, «Potete perdonarla»? inaugura il «ciclo Palliser» e spiazza le attese indotte dal suo impianto vittoriano: ora Sellerio ripropone questo intreccio spumeggiante, che mette in campo variopinti personaggi, cambiando scenario di continuo
Classici inglesi Uscito a puntate tra il 1864 e il 1865, «Potete perdonarla»? inaugura il «ciclo Palliser» e spiazza le attese indotte dal suo impianto vittoriano: ora Sellerio ripropone questo intreccio spumeggiante, che mette in campo variopinti personaggi, cambiando scenario di continuo
Ci sono opere che corteggiano il pubblico divertendosi a provocarlo e a sconcertarlo al tempo stesso: promettendogli cioè un copione di sapore familiare e stuzzicante, che risulta però sottilmente stravolto, sottratto ai sensi più scontati. Rientra fra queste Potete perdonarla? il romanzo uscito a puntate tra il 1864 e il 1865 con cui il prolificissimo Anthony Trollope inaugura il cosiddetto «ciclo Palliser». Lo ripresenta ora Sellerio nella traduzione di Rossella Cazzullo (pp. 1072, euro 20,00) corredato da una postfazione e da uno snello e funzionale apparato di note, stranamente non firmati.
Il titolo mette subito le carte in tavola, annunciando una di quelle storie succulente di amori illeciti e trasgressioni femminili che, dai feuilleton dozzinali ai casi sommi di Flaubert e Tolstoj, sono pane quotidiano della letteratura ottocentesca; ma il romanzo, che sembra in principio tener fede alle premesse, rimescola presto le carte, spiazzando le attese.
Obblighi di leggi bugiarde
La vicenda della protagonista Alice Vavasor, a prima vista ennesimo caso di dilemma tra i richiami opposti della passione e del buonsenso, si discosta dal paradigma consueto: la ragazza, ribellandosi alle direttive delle sue nobili parenti, lascia il dotto e irreprensibile fidanzato John, non però per mancanza d’amore, bensì per timore della vita senza prospettive che avrebbe al suo fianco; e torna al fidanzato precedente, lo scapestrato cugino George, non perché provi ancora per lui i sentimenti di una volta, ma perché spera (invano, come si vedrà) di cooperare alla sua carriera politica, e di avere così un’esistenza più utile e dinamica. Alla sua storia si interseca quella della deuteragonista Lady Glencora, brillante ereditiera che si è piegata al matrimonio combinatole con un suo pari, l’intelligente quanto noioso Plantagenet Palliser, parlamentare già affermato; ma rimpiange il legame avuto con un altro scapestrato, l’oziosissimo e ammaliante Burgo; e contesta beffardamente le «leggi bugiarde» che costringono le donne a una fedeltà coniugale priva di convinzione, proibendo loro di «correr dietro agli uomini belli».
Infine, il controcanto comico è fornito da Arabella Greenow, pragmatica vedova divisa a sua volta tra due pretendenti: desiderosa di gustare «un aroma di romanticismo» mai goduto, ma sempre convinta che quel che più conta «è il pane e formaggio».
Queste situazioni danno vita a un intreccio spumeggiante, che mette in campo una variopinta frotta di personaggi e cambia scenario di continuo (da Londra a varie zone della provincia inglese fino a Basilea e Baden-Baden), ma non include eventi straordinari: notoriamente allergico alle trame a tinte forti specialità di Dickens, Trollope insegue invece la routine del quotidiano; Potete perdonarla? riecheggia molte opere contigue (dello stesso Dickens, nella descrizione del mondo forense), ma nei dialoghi, nelle caratterizzazioni, nell’umorismo sornione della voce narrante, ricorda soprattutto quelle di Jane Austen; disegna un universo tanto superficialmente ameno quanto pervaso da tensioni sotterranee.
Tensioni che si comunicano al lettore facilmente. Perché se da un lato il libro ci trasporta in un’epoca tramontata di privilegi sontuosi e interdetti soffocanti (in cui una venticinquenne è ritenuta «non giovanissima», un viaggio in Europa richiede un terrificante armamentario di bauli, il patrimonio di una donna passa automaticamente nelle mani del marito), d’altro lato lo pone di fronte a dinamiche destinate (pur mutando spazi e modalità di esplicazione) a perdurare fino ai giorni nostri: le forme felpate e crudeli di umiliazione costituite dal saluto gelido, dalla stoccata allusiva, dal pettegolezzo subdolo; gli intrighi della politica, in cui ben più dei discorsi parlamentari ascoltati a stento contano le alleanze imbastite a cena; l’esclusivismo delle cerchie aristocratiche (che diverrà poi tipico di certi ambienti professionali e culturali), in cui lo snobismo «discendente» di chi vuole riservarne a pochi il lustro si scontra con quello «ascendente» di chi vuole a tutti i costi accedervi; la smania di esibirsi e sopraffarsi a vicenda che allora domina gli intrattenimenti mondani e le cacce alla volpe (tra i cui partecipanti l’autore inserisce autoironicamente se stesso, nelle vesti di un corpulento letterato entusiasta di cavalcare ma rassegnato ai capitomboli), e che adesso imperversa nei social network.
Effetti disinnescati
In apparenza la trama rispetta le prescrizioni del moralismo vittoriano, e disinnesca inoltre le situazioni a effetto: l’adulterio, moneta corrente anche nella pudica narrativa inglese (presente persino in uno dei romanzi di Austen, Mansfield Park), è limitato a un bacio; una di quelle catastrofiche perdite al gioco che in Balzac, Dostoevskij o Pirandello cambiano drasticamente il corso della vita, viene subito risolta; la pistola che compare a un certo punto finisce per sparare, come vuole il famoso assioma di Cechov, ma manca l’obiettivo e non fa danni; la dichiarazione d’amore più solenne è quella ridicolissima in cui si cimenta il tronfio signor Cheesacre (che, visibilmente ispirato al signor Collins di Orgoglio e pregiudizio, e un po’ precursore dello Zeno sveviano, passa da un rifiuto all’altro, per sposare infine la donna che meno gli interessa).
Nondimeno, il testo sa dar voce con perturbante intensità alle passioni più indicibili: Alice è indotta a ripensare alla sua scelta innanzitutto dall’attrazione irresistibile che continua a sentire per John e dall’altrettanto irresistibile ripugnanza che avverte ormai per George; Glencora e Burgo ballano un valzer così traboccante di desiderio da suscitare scandalo immediato; l’arido Plantagenet, che sembra emozionarsi unicamente per la Costituzione, si rivela capace di un trasporto amoroso commovente, malgrado un impaccio nell’esprimerlo costante (a quanto il racconto lascia intuire, non solo verbale ma anche fisico). E la carica di aggressività che vibra nei rituali delle bienséances deflagra improvvisamente nella scena più angosciosa, che sbalza il lettore dall’universo di Austen a quello delle Brontë, e d’altra parte sollecita ancora il confronto tra passato e presente: quella in cui, durante una passeggiata in una brughiera solitaria, l’insoddisfazione crescente di George si traduce in un gesto violento contro la sorella Kate, che ne riporta una frattura ma ha cura di attribuirla a un incidente (mentre il medico che la visita nota con noncuranza di essere abituato a spiegazioni di questo genere).
Ombre sull’happy ending
Ad arginare le inquietudini arriva poi un happy end gravato però da ombre persistenti. Alice ritrova una felicità offuscata dalla tristezza di non aver saputo orientare autonomamente il suo destino e di doversi piegare a una garbata quanto inflessibile supremazia maschile. Glencora confessa a Plantagenet di amare un altro, e se il colpo di scena (così simile a quello della Princesse de Clèves) ha conseguenze non drammatiche bensì in fin dei conti positive, il loro rapporto evolve, anziché in una vera intesa, in una curiosa complicità sempre intrisa di reciproca insofferenza. Lo mostrerà ulteriormente il seguito del ciclo, che, designato infatti con il cognome della coppia, dà ampio spazio alle sue vicissitudini, e attraverso di esse dà via via maggior rilievo a quelle della politica britannica; Sellerio ne ha già pubblicato il penultimo volume, Il primo ministro; non resta che auspicarne – possibilmente in ordine cronologico – una prossima pubblicazione integrale.
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