Visioni

Bell’Abissina, cronache dal «bravo» civilizzatore in terra di Libia

Bell’Abissina, cronache dal «bravo» civilizzatore in terra di LibiaElvira Frosini e Daniela Timpano – foto di Laura Toro

A teatro La coppia Elvira Frosini e Daniele Timpano porta in scena con Acqua di colonia - per Romaeuropa - un altro tema rimosso del nostro popolo, la vicenda coloniale

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 3 dicembre 2016

È una coppia ormai rodata, da quel Sì, l’ammore no, che la vedeva consacrare con ironia l’avvio del sodalizio nell’arte e nella vita, sono trascorsi otto anni. Kataklisma e amnesiA vivacE, alias Elvira Frosini e Daniele Timpano, hanno attraversato questo periodo giocando con scritture acide e irriverenti e sbattendo in faccia agli spettatori le contraddizioni della contemporaneità, compresi i gravi rimossi collettivi. Dalla bulimia riempitiva del vuoto culturale di Digerseltz e Carne, alle tragedie del recente passato di Ciao bella e Aldo morto, dal discusso Dux in scatola alla Zombitudine delle nostre odierne esistenze. Il prolifico duo si è lentamente costruito una cifra condivisa, connotativa e precisa di un duplice fare scenico.

A partire dalla di lei partitura più fisica e performatica, nell’incontro col Timpano drammaturgo emergono due presenze che si compenetrano nella causticità linguistica del corpo e della parola. Ora con Acqua di colonia – nel cartellone di Romaeuropa – tornano alla ricerca sociale intorno a un altro rimosso del nostro popolo, la vicenda coloniale, che dalla fine dell’800 si conclude tragicamente con la guerra e la caduta del fascismo.
Forse, il migliore spettacolo firmato dalla coppia Frosini-Timpano e realizzato attraverso una rilettura di fonti storiche e pubblicistiche, per scardinare i luoghi comuni costruiti su quella massa enorme di terra, abitata da miriadi di etnie che vista dall’Occidente appare indistintamente come Africa. Si sforzano a definirne i confini, e le geografie di Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia, mostrandosi nello spocchioso paternalismo del «bravo» civilizzatore colonialista, nel rapportarsi al diverso, nero o marrone, mai accettato e sempre considerato inferiore.

Atteggiamento che inevitabilmente si riflette sulle migrazioni di oggi. Cucendo insieme citazioni crociane e finanche pasoliniane, per smascherare (e ironizzare su) quell’idea panmeridionalista mitico-simbolica del poeta. E poi, dopo l’immancabile Faccetta nera con la quale tentano un provocatorio coro col pubblico, compare in tutto il suo squallore il Montanelli della moglie dodicenne. Insomma, un excursus sul misero passato coloniale italiano, i cui retaggi bruciano come piaghe.

Per questo dispiace per la grave dimenticanza – che sia voluta? – del duplice omicidio, nel 1994 a Mogadiscio, di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Un accenno avrebbe annoverato Acqua di colonia tra gli spettacoli memorabili di questa stagione.

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