Belcanto e ragion di stato. Nota per nota la vita rutilante di Elisabetta I
Una domanda ossessiva. «Where am I ? – Dove sono?». La ripete angosciosamente la giovane Elisabetta I, mentre sulla scena scorre la sua vita, narrata nel canto, episodio dopo episodio, da un’altra sé stessa che cresce, ascende al trono, invecchia, muore.
Sul palcoscenico del Teatro La Monnaie di Bruxelles riecheggia la domanda di Elisabetta, figlia «bastarda» di un re scismatico e di una regina decapitata, che rivive emozionata, orgogliosa, disperata o incredula, la sua formidabile parabola.
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Scandali di corte, onori e gossip: nel mito di ElizabethBastarda, spettacolo in due serate creato a Bruxelles il 21 e 23 marzo e in scena fino al 16 aprile è un singolare, imponente esperimento teatrale basato su quattro opere di Gaetano Donizetti e costruito da un ampio team registico, drammaturgico guidato da Oliver Fredj, con la drammaturgia di Marie Mergeay, le scene di Urs Schoenenbaum, i costumi inventivi di Petra Reinhardt, i video di Sarah Derendinger e la collaborazione artistica di Cecilia Ligorio.
Protagonista assoluta Elisabetta I Tudor, la regina Vergine, Gloriana, la «Perfida Nemica» per la curia pontificia e per l’armada di Filippo II, sovrana assoluta volontariamente senza consorte e senza eredi.
Nel doppio ruolo di attori e Cantanti, Smeton e Cecil – David Hansen e lo squillante Gavan Ring – guidano il pubblico e la regina bambina – la giovanissima, strepitosa Nehir Hasret – in una vicenda costruita in inglese attraverso dialoghi, date storiche, discorsi della sovrana, per incorniciare un montaggio minuzioso di materiali musicali provenienti da Anna Bolena, Elisabetta al castello di Kenilworth, Maria Stuarda e Roberto Devereux.
NON UN CENTONE di scene e arie ma l’ambiziosa fusione di materiali musicali e testuali tutt’altro che omologhi, per creare una drammaturgia coerente. Così Al dolce guidami dall’Anna Bolena è un refrain che si frammenta ossessionando Elisabetta nel ricordo della madre Anna mentre lo spietato Enrico VIII – il vigoroso Luca Tittoto – è un seduttore protervo che ingrassa anno dopo anno e che dopo il duetto con Seymour si affianca al fine Bruno Taddia nei concertati delle altre opere, al contempo spettro omicida, sugello dinastico e modello di potere assoluto.
Fusione di materiali musicali e testuali costruito da un team registico guidato da Oliver Fredj
ACCANTO al sovrapporsi degli amanti tenorili Leicester e Devereux, lo svettante Enea Scala e il più elegiaco Sergey Romanovksy, la cugina Maria Stuarda è l’altra ossessione di Elisabetta: lo scontro fra le due donne, in cui vola davvero l’epiteto «bastarda», chiude la prima sera ma la presenza di Stuarda dopo l’esecuzione sugella anche il secondo finale: un elettrizzante montaggio di taglio cinematografico, costruito per accumulo con la cavatina di Anna Bolena, la cabaletta finale del Devereux e quella della Stuarda, tour de force affidato alla voce emozionante e sicurissima di Francesca Sassu.
Nato di concerto con il direttore artistico Peter de Caluwe, il progetto di Fredj origina da due prototipi allestiti in piena pandemia sull’Elisabetta di Rossini e La Favorite donizettiana, e tenta una chiave nuova nel proporre al pubblico europeo i titoli del belcanto romantico. Un arbitrio dichiarato che non intende sostituirsi agli allestimenti tradizionali ma si serve liberamente della materia viva musicale per rivestire il dramma di forza contemporanea.
PER “BASTARDA” la presa sul pubblico è garantita poi dall’inveterata fascinazione per la corona inglese e dai tanti modelli, da Bette Davis a The Crown. L’esperimento non sarebbe riuscito senza il lavoro di direzione e raccordo, anche con materiale composto ad hoc, del direttore Francesco Lanzillotta, che sorregge con vigore e convinzione le ragioni musicali del progetto.
Altrettanto fa la distribuzione, ragguardevole nel canto e del tutto coinvolta sulla scena.
Ai già nominati e a Sassu – che si alterna a Myrto Papatanasiu – si aggiungono Lenneke Ruiten, Maria Stuarda prodiga di saette, l’Anna Bolena ardente di Salome Jicia, la Seymour di Raffaella Lupinacci, ugualmente brava nei panni di Sara, la liliale Amy Robsart di Valentina Mastrangelo; essenziale per le due serate sono i contributi del coro preparato da Giulio Magnanini e soprattutto dei danzatori coordinati da Avshalom Pollak. Successo pieno per le due prime e scommessa vinta.
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