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Belarus Free Theatre, la lotta è una tavola di palcoscenico

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Cinema Dangerous Act di Madeleine Sackler. Tra scena e realtà, un film sul gruppo di Minsk messo al bando dal regime di Lukascenko

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 15 aprile 2014

Nel 2005 la compagnia nazionale teatrale di Belarus viene disciolta per decisione del governo bielorusso. Natalia Kaliada, Nikolai Khalezin e Vladimir Shcherban. perdono il lavoro. Tutti talentuosi professionisti, decidono di unirsi e formare una compagnia indipendente: The Free Theatre of Belarus. Schierato contro il regime totalitario di Lukaschenko, al potere dal ’94, il loro teatro è: atto politico.
Dangerous Acts-Staring the Unstable Elements of Belarus, titolo del terzo documentario della giovane filmaker statunitense Madeleine Sackler, ripercorre la storia della compagnia. Dal momento della sua formazione il BTF si è mosso in luoghi segreti, magazini abbandonati e ex-fabbriche di periferia. Radunando trenta, settanta spetttatori a serata, seduti a terra, a stretto contatto con gli attori. Gli spettacoli sono stati vietati, ma i componenti del BFT hanno continuato a farli, e i loro spettatori hanno continuato a seguirli.
La prevendita dei biglietti avviene telefonicamente, poi viene comunicato un luogo d’incontro dal quale gli spettatori vengono accompagnati allo spettacolo. Gli spettatori viene chiesto di portare un documento di riconoscimento, in caso d’irruzioni del Kgb – i servizi segreti di Belarus, sono gli unici che hanno mantenuto il nome originale allo scioglimento dell’Unione Sovietica
Nel 2012, dopo aver partecipato a una protesta pacifica nelle strade della capitale contro le elezioni che hanno riconfermato Lukashenko al potere, i fondatori della compagnia hanno lasciato volontariamente il paese, emigrando negli Stati Uniti e in Inghilterra, ma continuano a fare spettacoli – sono stati invitati in decine di paesi nel mondo.
Sackler usa lunghe interviste ai fondatori del gruppo, a commento delle immagini che hanno trafugato clandestinamente nelle strade della Bielorussia, durante le marce di protesta e nel corso delle loro perfomance «illegali». Osservatrice attenta della realtà, la filmmaker cattura il pathos del palcoscenico, il pubblico silenzioso, lasciando libero corso agli avvenimenti. Il cinema diventa qui arma attiva nella lotta politica. Le immagini riprendono le inquietudini e il disagio sociale, infrangendo ogni illusione di un clima post-sovietico pseudo-idilliaco, smascherano un potere corrotto. Registrano il meccanismo malato di un sistema politico definito «l’ultima dittatura europea».
«Ci definiamo teatro ma siamo piuttosto otto persone che vivono in queste condizioni» dice Nikolai. Cioè esuli scappati con falsi documenti. Dovunque vanno si trasformano nel Belarus Free Theatre, un teatro di gesti e poche parole.
Un attore entra in scena, è solo, prova a parlare, subito ne arriva un altro, con forza gli tappa la bocca, e gli colora il volto di vernice rossa, mentre un terzo lo trascina via. «Benvenuti a Minsk – dice un attore – l’Ucraina è sexy, la Polonia è sexy, la Lituania è sexy, la Lettoniaa pure è sexy. Belarus non è sexy».
«Al diavolo la dittatura» commenta Nikolai Khalezin, mentre scorrono le immagini di una manifestazione pacifica nelle strade di Minsk. La folla cresce, l’esercito l’aggredisce con violenza. Qualcuno viene trascinato via: giovani, vecchi, giornalisti.
Ecco le immagini di un altro spettacolo. Gli attori battono con forza i manganelli sul palcoscenico. La rappresentazione della realtà è rafforzata dalla potenza della documentazione. «Noi siamo il teatro e noi continueremo ad esserlo» dice Nicolai mentre la protesta in strada diventa più drammatica. Una donna anziana viene trascinata tra la folla da un poliziotto. In scena un’attrice batte forte una mazza in terra. Un gruppo di casalinghe irrompe sulla scena con le scope, puliscono rapidamente, come a cancellare ogni traccia di resistenza.
Dangerous Acts ascolta tutte le voci della rivolta. Racconta le sfide delle famiglie, degli esuli attaccati disperatamente a skype. Sono preoccupati per il futuro dei figli e per l’impossibilità di andare a trovare i genitori che muoiono. Chiedono notizie degli amici, molti sono in carcere, torturati, altri sono scomparsi.
La Bielorussia è l’ultimo paese in Europa ad applicare la pena di morte. Persino i concerti rock sono banditi. Scorrono i frammenti di uno degli spettacoli recenti, Minsk 2011- Reply to Kathy Acker, omaggio alla femminista americana, sulla sessualità repressa dalla dittatura: «Solo le ballerine di lap dance sono legali». Recitano in russo con sottotitoli in inglese. Una donna con la testa incoronata da una collana di fiori entra in scena come un pacco, avvolta in un rotolo di carta e viene «scartata» rimanendo nuda.
Un attore racconta del figlio di dieci anni che si è impiccato. Il padre si interroga, il teatro è ancora una volta l’arma di una protesta silenziosa contro uno stato che nega la vita privata.
Il BFT all’inizio si ispirava alle esperienze degli amici, delle loro famiglie, storie di povertà, suicidi di adoloscenti, omessesualità nascosta, alcolismo. Che agli occhi del governo rappresentavano un crimine. «Il nostro è uno dei governi più bizzarri e repressivi al mondo. Molti europei non sanno nemmeno dove si trova la Bielorussia» commenta ancora Nikolai.
Ma il tono del film è anche leggero, col senso dell’humor di chi lotta senza vittimismi. Natalia racconta una barzelletta: «In Bielorussia durante le elezioni, a scrutini terminati, il garante dice a Lukashenko:’C’è una buona notizia e una cattiva notizia, la buona notizia è che stato di nuovo eletto Presidente, la cattiva notizia è che nessuno l’ ha eletta».

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